Celano, migranti schiavizzati nei campi del Fucino

Il dramma dei lavoratori stranieri: da alcuni imprenditori solo 20 euro dopo un'intera giornata di lavoro

CELANO. Caporali che reclutano la manodopera e lavoratori in nero che si spezzano la schiena sui campi dall’alba al tramonto per 20, 30 euro. È quanto accade in alcune aree agricole, soprattutto del Mezzogiorno. E ad essere penalizzati per primi sono gli imprenditori onesti, che mettono in regola i propri dipendenti e pagano i contributi. Per stroncare tale fenomeno il Parlamento si è deciso finalmente ad approvare, all’unanimità, una legge, la 199, in vigore il 4 novembre. Una legge severa, che prevede per il reato di sfruttamento del lavoro, da uno a sei anni di reclusione, che, nei casi più gravi, può arrivare anche a nove anni e alla confisca dell’azienda. Qual è stata la reazione delle associazioni agricole? Confagricoltura, per illustrare la normativa ai propri associati ha organizzato un incontro , al Guerrinuccio di Celano, al quale ha partecipato il vice presidente nazionale dell’associazione, Massimiliano Giansanti. Il presidente provinciale Fabrizio Lobene ha definito la legge, che l’associazione si aspettava da tempo, «doverosa e perfettamente condivisibile nelle finalità».

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E ha ricordato «l’espulsione senza appello» di un associato che, sottoposto a verifiche Inps, non è riuscito a giustificare la correttezza del suo operato e di avere segnalato anche alla Commissione regionale per le attività di vigilanza fenomeni di utilizzo improprio di manodopera agricola, che alimentano rischi di infiltrazioni criminali. Ma non risparmia critiche, anche severe, alla nuova legge. «Le nuove disposizioni», ha osservato Lobene, «trattano con lo stesso rigore chi, con violenza e minaccia, sfrutta ignobilmente i lavoratori, sottoponendoli a trattamenti degradanti e disumani e chi invece assume e assicura regolarmente i propri dipendenti, ma che, occasionalmente, può incorrere in violazioni lievi della normativa legale e contrattuale».

«Per punire pochi che si comportano in maniera scorretta», rincara la dose il presidente regionale Concezio Gasbarro, «si è deciso di colpire indiscriminatamente un’intera categoria».

Roberto Caponi, direttore dell’area sindacale di Confagricoltura teme che la norma possa esporre l’imprenditore a ricatto. «Il dipendente», spiega, «può denunciare il datore di lavoro per un motivo qualsiasi: avergli pagato un’ora in meno di straordinario o la domenica. Vai poi a dimostrare che non è vero».

«Questa legge», sottolinea Caponi, «non riguarda soltanto gli imprenditori agricoli ma tutti i datori di lavoro, anche quello domestico. Ci siamo battuti per apportarvi delle correzioni prima dell'approvazione definitiva. Ma non ci si è voluto dare ascolto. Accanto a noi non si è visto nessuno, tranne la Confindustria. Se la normativa, che per noi presenta dei profili di incostituzionalità, non sarà modificata», avverte Caponi, «il caporalato non verrà scalfito, mentre le imprese oneste correranno seri rischi».

L’assessore regionale Dino Pepe, dopo aver rilevato «una timida ripresa», nell’ultimo periodo, dell’agricoltura in Abruzzo e invitato gli imprenditori a puntare sulla «qualità dei prodotti» e «sull’aggregazione», ha posto la necessità di un Psr (Programma di sviluppo rurale) unico a livello nazionale, affinché «tra l’emanazione dei bandi e l’erogazione dei fondi non passino anni», e di una «razionalizzazione» dei cinque Consorzi di bonifica e dei tre Centri di ricerca abruzzesi. «È inammissibile», ha osservato l'assessore, «che tante aziende della Marsica, ad esempio, debbano rivolgersi a Centri di ricerca di altre Regioni» e che «sulla gestione delle acque, fondamentale per le aziende agricole, ogni Consorzio vada per conto proprio». L’assessore ritiene, pertanto, che ci debbano essere in Abruzzo un unico Consorzio di bonifica e un unico Centro di ricerca.

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