Cocciolone e il Tornado abbattuto Da Pettino all’Iraq di Saddam 

L’anniversario della prigionia del navigatore capitano dell’Aeronautica durante la Guerra del Golfo Le immagini con il volto tumefatto per le torture e la gioia per il ritorno a casa. Oggi vive a Roma

L’AQUILA. In città è una vicenda finita ormai nel dimenticatoio. Ma 30 anni fa, in questi giorni, L’Aquila finì sulle tv e sui giornali di tutto il mondo perché fra il 17 e 18 gennaio del 1991, durante la prima guerra del Golfo (fra l’Iraq e una coalizione di una trentina di paesi – fra cui l’Italia – guidata dagli Stati Uniti) un Tornado dell’Aeronautica militare fu abbattuto dalla contraerea irachena. I membri dell’equipaggio, il maggiore Gianmarco Bellini e il navigatore capitano Maurizio Cocciolone, nato all’Aquila, riuscirono a salvarsi ma furono fatti prigionieri dagli iracheni. Per molte ore si temette per la loro vita. Il 20 gennaio la tv irachena mostrò le immagini di alcuni prigionieri fra cui Cocciolone. Il militare aveva ferite sul volto e durante l’interrogatorio, dopo aver detto il suo nome, a domanda specifica rispose: «La guerra è un modo sbagliato di risolvere un problema politico. La guerra è una brutta cosa. Credo che la soluzione migliore sia trovare strumenti politici per porre fine al conflitto». Frase imposta dai suoi carcerieri. Poi rassicurò i genitori sul suo stato di salute. La famiglia di Cocciolone abitava a Pettino e in particolare il Tg4 condotto da Emilio Fede, che vantava lo scoop di aver per primo dato la notizia dell’abbattimento del Tornado italiano, iniziò una no-stop che andò avanti giorni con interviste ai genitori e agli amici di Cocciolone.
Anche la redazione aquilana del Centro, allora all’angolo fra via XX Settembre e via Sant’Agostino, fu letteralmente invasa dagli inviati dei più importanti quotidiani nazionali in cerca di notizie su questo militare il cui volto era diventato simbolo di quella guerra. I bombardamenti sull’Iraq da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati erano iniziati nella notte fra il 16 e il 17 gennaio del 1991, allo scadere dell’ultimatum imposto dalle Nazioni Unite all’Iraq, guidato da Saddam Hussein, per il ritiro dal Kuwait. Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991 decollò la prima missione operativa dei cacciabombardieri italiani. Oltre all’aereo di Bellini e Cocciolone, facevano parte della missione – nello spazio aereo controllato dagli iracheni – anche gli altri sette cacciabombardieri italiani e una formazione di aerei alleati. L’obiettivo era colpire un deposito di munizioni e mezzi nell’Iraq meridionale, a Nord-Ovest di Kuwait City. L’aereo di Bellini e Cocciolone, che era partito da una base negli Emirati Arabi Uniti, fu l’unico a riuscire ad arrivare sull’obiettivo e colpirlo. Ma sulla via del ritorno fu abbattuto. Cocciolone, 60 anni, ha continuato a lavorare nell’Aeronautica e dal 2017 è in pensione.
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