Eremi e grotte, tesori di santità

Sulle montagne abruzzesi, seguendo le tracce lasciate dagli uomini di fede

di CLAUDIO TRACANNA*

Nella Bibbia il Monte, o l’altura in genere, è spesso un luogo dove accadono avvenimenti speciali, rivelatori, è luogo di particolare vicinanza di Dio. E Dio stesso è identificato come montagna rocciosa e come rocca, luogo inaccessibile di rifugio; terreno solido su cui costruire fortezze, sicurezza su cui poggiare la propria vita. “Non c’è rocca come il nostro Dio” (1 Sam. 2, 2); “Viva il Signore: sia benedetta la mia rocca” (2 Sam. 22,47). Potrebbero essere citati altri innumerevoli passi biblici in cui si evince il nesso profondo tra la fede e la montagna. Basti pensare che la morte di Gesù, inizio della sua nuova vita, avviene su di un monte, il Calvario. E, ancor prima, l’episodio di Abramo la cui fede viene messa duramente alla prova dal Signore quando proprio su un altro monte, il Moriah, gli chiede di sacrificare suo figlio Isacco. E L’Aquila che si appresta a essere pacificamente invasa da centinaia di migliaia di penne nere, condivide con gli alpini l’amore per le montagne che le fanno corona, vero tesoro fatto di bellezze naturali, fede e santità. Il rapporto tra montagne aquilane e fede è stato in qualche modo consacrato nei secoli da una lunga tradizione di presenze eminenti della tradizione cristiana. Fondamentale allo sviluppo di una religiosità alpestre fu il movimento eremitico che nell’Aquilano ha San Franco d’Assergi come suo massimo rappresentante.

Il culto del santo si sviluppa attorno alla cunnicella, la grotta incastonata sulle montagne del Vasto, vicino ad Assergi, in un luogo arido e privo di rifugi, a 1730 m. Secondo la tradizione, l’eremita per dissetare la madre giunta a piedi da Roio, fece sgorgare da una roccia una sorgente. Quell’acqua ancora oggi continua a uscire e richiama numerosi pellegrini che vi si recano in quanto, secondo la tradizione, l’acqua è in grado di guarire soprattutto dalle malattie cutanee (rogna, scabbia, psoriasi). Al beato Placido da Roio invece si deve la costruzione di un eremo sulla cima del monte Circolo tra Fossa e Ocre, grotta tanto inaccessibile che è perfino invisibile alla vista. Alla morte del beato, nel 1248, poco distante venne costruito un monastero, ancora oggi esistente e noto a tutti come Santo Spirito. Un’altra grotta è legata a un eremita proveniente da Roio: la grotta del beato Bonanno, che si trova alle pendici del monte di Roio in contrada Spedino a circa 1000 m. Legati all’ordine francescano sono invece due luoghi in alta montagna: l’eremo del beato Vincenzo e la cappellina di san Bernardino e san Celestino. A due passi dall’Aquila sul Monte Pettino a quasi 900 m si trova l’ eremo del beato Vincenzo. Realizzato su una sporgenza rocciosa, il romitorio di san Giuliano consiste in un unico ambiente coperto con volta a botte e illuminato da due finestre, in cui visse da eremita il beato Vincenzo. Una piccola edicola che anticamente era meta di un modesto culto si trova sulla strada tra Sella di Corno e Vigliano a 1100 m ed è stata costruita sul posto in cui secondo la tradizione san Pietro Celestino apparve a san Bernardino esortandolo ad andare all’Aquila e porre pace tra i suoi abitanti. Ai nostri giorni è stata una delle più grandi figure della storia del papato, Giovanni Paolo II, che ha sancito definitivamente il rapporto tra le montagne aquilane, la fede e gli alpini.

In un Angelus affollatissimo a Campo Imperatore – il 20 giugno 1993 – Giovanni Paolo II si rivolse proprio agli alpini dopo aver benedetto la cappella della Madonna della Neve da loro restaurata a Campo Imperatore. “Per questo, carissimi Alpini … ho molto apprezzato la vostra iniziativa di ristrutturare questa Cappella, la quale vuole essere, per quanti qui giungono o sostano mentre salgono la montagna, richiamo al soprannaturale, segno della presenza di Dio, invito alla preghiera”. E Wojtyla, amante delle montagne sin dalla giovinezza non perse l’occasione per ricordare come proprio la fatica di chi, come gli alpini, vive la montagna è rappresentativa del cammino ascetico del cristiano: “Voi siete infatti, come “plasmati” dalla montagna, dalle sue bellezze e dalle sue asprezze, dai suoi misteri e dal suo fascino. La montagna apre i suoi segreti solo a chi ha il coraggio di sfidarla. Chiede sacrificio e allenamento. Obbliga a lasciare la sicurezza delle valli, ma offre a chi ha il coraggio dell’ascesa gli spettacoli stupendi delle cime. Essa è pertanto una realtà fortemente evocativa del cammino dello spirito, chiamato a elevarsi dalla terra al cielo, fino all’incontro con Dio”.

E al termine del singolare Angelus, san Giovanni Paolo II, dopo aver ricordato la simpatia di cui gode il Corpo tra la popolazione, invitò gli Alpini a essere sempre attenti ascoltatori del misterioso linguaggio della montagna così da svolgere un servizio anche alla solidarietà e alla pace. Proprio questi valori, solidarietà pace e armonia, siano non solo i fari con cui vivere i giorni sicuramente indimenticabili dell’Adunata ma tutto il cammino della ricostruzione, faticoso, come un’ascesa sul Gran Sasso, ma capace di aprire orizzonti meravigliosi soprattutto per le nuove generazioni di aquilani..

*parroco di Pizzoli

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