Folla per l’addio a Fabiani sulla bara la maglia neroverde

La città rende omaggio al politico scomparso, la Regione Abruzzo non manda il gonfalone Il vescovo D’Ercole cita La Pira. Il feretro portato a spalla dai rugbisti di ieri e di oggi

AQUILA. «Alberone» Di Zitti, stoicamente in piedi per tutta la messa, commuove tutti quando stende con cura la maglia neroverde col numero 99 sulla bara di legno chiaro con tanti cuori intorno. «Mancherai tanto, Lucia’, a me e all’Aquila», dice scendendo dall’ambone delle Anime Sante. È uno dei momenti più toccanti dei funerali di Luciano Fabiani che, se potesse, oggi, qui, mettendosi le mani dietro la schiena, con la sinistra a prendere pollice e indice della destra, direbbe a tutti di accorciare i discorsi celebrativi e di mettersi a lavorare, che di cose da fare ce ne sono tante.

Folla di politici e rugbisti, bancari e funzionari pubblici, ma anche di tanta gente comune per l’addio al politico di razza della vecchia Dc che fece lo strappo dell’alleanza con i comunisti e i radicali, tutto nato una sera a cena da Scannapaper e insieme a Marco Pannella. C’è tutta L’Aquila, rappresentata nelle varie categorie ed espressioni, attorno all’altare oppure all’ombra della facciata. Gente comune, insomma, proprio come quelli che, nel capitolo 25 di Matteo, hanno avuto fame e sete e sono stati saziati oppure erano nudi e sono stati vestiti. Schiere di persone che gli devono un grazie, anche solo per un consiglio, una «dritta», o una mano vera e propria, sono qui che sfiorano la bara, all’ingresso portata dai rugbisti di oggi e all’uscita da quelli di ieri, gli Autore, i De Masi, i Mariani, e gli altri con loro. Lo afferma lo stesso vescovo D’Ercole (il quale confessa di non averlo conosciuto), che, come dice La Pira, l’impegno politico è fatto di «umanità e santità». E come dice don Tonino Bell o «essere prete è amare Gesù Cristo e non dimenticare mai l’uomo, fare politica è questo. Non ci verrà chiesto quanto abbiamo pregato o quanto abbiamo promesso ma quanto abbiamo fatto per gli altri». «È stato un uomo», chiosa, «che ha segnato la storia di questa città».

In prima fila si tormenta le mani il sindaco Massimo Cialente, che ha portato il gonfalone del Comune – mentre manca quello della Regione, di cui Fabiani pure fu vicepresidente – mentre ascolta il richiamo agli ideali per i quali lottare e la nostalgia del vescovo per quei personaggi come «Dossetti, don Sturzo, De Gasperi, La Pira che vorremmo vedere anche oggi in un momento di travaglio storico come questo. In questo momento difficile i nostri amministratori a partire dal sindaco possano trovare la forza per dare entusiasmo al futuro della nostra città ma non solo».

Cialente raccoglie: «Non è solo un saluto, il mio, caro Luciano, ma un grazie a nome dell’intera città per quello che hai fatto in decenni e decenni di impegno col tuo carattere così rigoroso ma anche così vero volendo esplorare sempre nuovi percorsi. Credo davvero che non ci sia nessun campo nella storia della città nel quale non resti una traccia del tuo passaggio: Teatro stabile, Accademia Belle arti, pezzi di identità della nostra città come L’Aquila rugby. hai speso bene la tua vita». La bara sfila tra due ali di folla per l’ultimo applauso.

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