«Ho bucato il cemento, l’argine è rotto»

Dalle intercettazioni telefoniche e telematiche che costituiscono la parte preponderante delle indagini emerge un quadro che il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare che consta di 81 pagine, definisce con queste parole: «I Celi trattano troppi rifiuti e dovrebbero smaltirli in impianti diversi dal loro, sostenendone i costi»

L’AQUILA. «Ho dovuto sbuciare il cemento». E così, se l’acqua per alimentare l’impianto di produzione del calcestruzzo diventa poca, come avviene d’estate e nei periodi di secca in quel tratto di fiume Vera che poco più a monte è riserva naturale, è pronta la ruspa che rompe l’argine «E mo’ chi la ferma tutta st’acqua». Dalle intercettazioni telefoniche e telematiche che costituiscono la parte preponderante delle indagini emerge un quadro che il gip, nell’ordinanza di custodia cautelare che consta di 81 pagine, definisce con queste parole: «I Celi trattano troppi rifiuti e dovrebbero smaltirli in impianti diversi dal loro, sostenendone i costi».

Ecco, allora, prima il ricorso al «camuffamento» dei rifiuti, portati nella cava tra Magliano e Massa d’Albe in assenza di autorizzazioni e senza le opportune separazioni di materiali, macerie comprese, ed ecco anche la soluzione più economica per pompare più acqua e quindi produrre più cemento nell’impianto di Monticchio indicato con tanto di segnaletica stradale fin dalla strada Mausonia. I Celi, contesta l’accusa, hanno danneggiato l’argine del fiume Vera, in una parte non sottoposta a particolare tutela ambientale. Un danno comunque enorme. E anche un pericolo visto che tutta la zona è a rischio esondazione. Per fare il calcestruzzo serve tanta acqua. I Celi hanno chiesto al Genio civile l’autorizzazione al prelievo per 3 litri al secondo, ma in seguito serviva più acqua per la produzione e a quel punto, come scrive il gip, hanno optato «per la soluzione più economica per loro e dannosa per l’ambiente». Hanno rotto l’argine di cemento armato «con evidente rischio per tutta l’area» e occultato il tubo di captazione.

IL LAVORETTO. Per quel lavoretto è stato ingaggiato un certo Antonio nmi (non meglio identificato). Ecco il colloquio con uno dei due imprenditori. «Come sta andando?». «Adesso sono andato». «Arriva l’acqua?». «E chi la ferma mo’ tutta st’acqua? bestemmia». «Mo’ tu fai una cosa sentimi a me...la stacchi e la porti direttamente là, dentro la pozza». «Mettici una saracinesca». «Quando ho scavato il letto era di cemento. Ho dovuto sbuciare il cemento...per mettere il tubo». «E va bene?». «Poi ho rimesso il cemento, e ho richiuso come? non va bene...tutto...sta tutto a posto...non ci sta nessun pericolo...» «Dovesse sbottare, sennò poi ci denunciano...».

FOTO DALL’ALTO. L’inchiesta si è avvalsa anche di rilievi dall’alto. Operazioni sulle quali prende posizione anche uno dei due fratelli Celi che in un’altra delle telefonate intercettate dice: «Speriamo che non hanno fotografato tutto...». Poi ancora, parlando con un suo collaboratore di fronte alla necessità di scaricare materiale «proibito» in cava, risponde: «È un casino, aspetta un attimo...non toccare niente adesso...se me lo dicevi ieri lo facevo mettere in mezzo all’asfalto, adesso non si può fare...quando si fa il bynder (conglomerato per asfalti, ndr) si mette là dentro come fanno gli altri...che ce ne dobbiamo andare in galera? Stanno a venire questi...cerchiamo di capirci...ieri sera potevamo pure fare qualcosa, mo’ stamattina che ti metti a fare?».

I CONTROLLI. Durante i controlli del Noe, che più volte ha visitato la cava dei Celi, gli imprenditori s’informano, sempre al telefono, coi loro uomini sull’esito delle valutazioni. «Stanno facendo delle trincee ci hanno chiesto di trovare un escavatorino...e vedere nelle zone dove abbiamo fatto ritombamento di cava fanno delle trincee..con esito? Vabbè, è un casino insomma...». Gianfranco Celi a un certo punto cambia anche cellulare e usa un secondo numero che non utilizzava mai. Nel tentativo, vano, di sottrarsi alle intercettazioni telefoniche.

CUBETTI FASULLI. Quanto alle prove sul cemento armato dei villini realizzati a Carsoli dopo il terremoto, il gip annota che dalle intercettazioni emerge come agli indagati «siano stati chiesti dei provini preconfezionati». Il gip chiosa: «Arcangeli si trova in difficoltà perché i cubetti di calcestruzzo di una costruzione realizzata da una sua società non hanno superato la prova di schiacciamento. I cubetti, in realtà, non sono stati prelevati all’atto della gettata ma sono stati creati in altro modo. Si ha la fondata certezza», scrive il gip, «che si tratti di un collaudo del tutto formale e assolutamente falso».

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