Inchiesta sul riciclaggio da Palermo a TagliacozzoLa procura:  "Zangari riciclava dollari e oro"

Dalla miniera nelle Filippine ai contatti con Skipe, le accuse nei confronti dell'ex assessore

TAGLIACOZZO. Soldi custoditi in una cassetta di sicurezza in una banca a Roma e contatti solo tramite Skipe, programma per chattare tramite messaggistica istantanea. Sono questi i nuovi elementi emersi nell'inchiesta che ha portato all'arresto dell'ex assessore di Forza Italia del Comune di Tagliacozzo, Nino Zangari, del tributarista Gianni Lapis e di altre quattro persone nel settore dell'intermediazione finanziaria. Un vero e proprio intrigo internazionale, secondo l'accusa, con molti punti ancora oscuri e una somma di circa 60 milioni di dollari da riciclare e un quantitativo non accertato di franchi svizzeri.

METODO SKIPE. I contatti, secondo gli investigatori, venivano tenuti tramite Skipe con cui venivano fissati gli appuntamenti. Il gruppo guidato da Gianni Lapis, accusato di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, esercizio abusivo della professione di intermediazione finanziaria e violazione delle norme sulla tracciabilità delle operazioni finanziarie, stabiliva così gli orari e i luoghi dove incontrarsi. Usavano Skype per non essere intercettati e, per un eccesso di prudenza, parlavano attraverso frasi criptiche degli affari milionari.

L'INDAGINE. Sarebbe scattata per caso durante un'altra inchiesta su cui gli inquirenti mantengono il riserbo. Tutto ciò ha portato alla scoperta di una presunta operazione di riciclaggio di denaro sporco realizzata attraverso un cambio di valuta, forse provento anche di tangenti a politici. Con l'avvocato ritenuto prestanome dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e per questo condannato a due anni e otto mesi, e con Nino Zangari, sono state arrestate altre cinque persone: Francesco Terranova, Gianni Lizza e Salvatore Amormino.

LA MINIERA D'ORO. La Finanza ha scoperto che Lapis, attraverso i suoi uomini, aveva contattato il proprietario di una miniera di oro delle Filippine e che aveva intenzione di acquistarlo, trasformarlo in lingotti a Vicenza e organizzare un'attività di compravendita estero su estero. «Tali emergenze investigative», è scritto nell'ordinanza del Gip, «dimostrano l'esistenza della struttura associativa stabile, contraddistinta da un insieme di scopi, tutti univocamente diretti alla realizzazione di operazioni finanziarie volte a celare la provenienza delittuosa dei capitali immessi nel circuito bancario».

GLI APPUNTAMENTI. A incastrare il gruppo sarebbero stati gli incontri con la talpa, un uomo della Finanza. Alcuni sarebbero avvenuti a Roma nel mese di ottobre tra il falso cliente e l'organizzazione i cui componenti erano tenuti sotto osservazione dalle Fiamme gialle. In realtà, però, non sarebbe avvenuto alcun passaggio di denaro. Il timore che l'indagine andasse a monte ha portato a eseguire gli arresti. Restano, comunque, molti punti oscuri: oltre all'identità di un tale Mario col quale c'erano gli incontri e al ruolo di altri soggetti indagati, la provenienza di tanto denaro contante e un traffico di oro, venuto fuori dalle intercettazioni. E poi il bottino non è stato mai trovato. (p.g.)

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