“Ju Calenne”, issato l’albero della vita

“Il viaggio e il racconto” s’inoltra nei boschi di Tornimparte nella notte magica dei maggiaioli

di VINCENZO BATTISTA*

La chiesa di San Panfilo, a Villagrande di Tornimparte. All’interno, gli affreschi di Saturnino Gatti (nato a Pizzoli nel 1463 circa, morì all’Aquila intorno al 1518). Possiamo considerare le sue pitture una sorta di “Cappella Sistina” dell’Alto Aterno poiché la sua genialità, il suo talento, si forma nella bottega fiorentina del Verrocchio, dove transitano come apprendisti personaggi come Botticelli, Ghirlandaio, Perugino e soprattutto Leonardo da Vinci. Saturnino Gatti, visionario, dalle scene apocalittiche, sconvolgenti, drammatiche nelle “Storie della Passione di Cristo” affrescate dal 1489, dietro l’altare di San Panfilo (meriterebbe più attenzione per la conservazione) nel catino absidale, una conchiglia architettonica che ci sovrasta mentre la guardiamo, quasi ci intimorisce per la forza pittorica dei personaggi dipinti che sprigiona, sopra di noi, in un effetto avvolgente, totalizzante per la grande bellezza della comunicazione pittorica. Lo sguardo si posa sulla “Cattura”, il “Bacio di Giuda”, e il grande roccione che fa da sfondo alla scena, che qualcuno ritiene di aver individuato nella Conca aquilana, identico. Infine un albero, alto nel suo lungo fusto, con una chioma alla sommità, muto testimone dell’evento del tradimento nella rappresentazione pittorica “Bacio di Giuda”, l’albero, un simbolo, quindi, che ritroveremo, appena usciti dalla chiesa di San Panfilo. Sì, è stato portato davanti al sagrato e piantato, anch’esso simbolo di un tradimento, ma del bosco. A maggio gli alberi sono in piena fioritura. Per capire che cos’è accaduto nella notte appena trascorsa di questo 1° maggio, e perché quell’albero, ridotto a un lungo tronco con un ciuffo buffo di foglie alla sommità, è stato trasportato in questo luogo, bisogna, come in un film, riannodare la pellicola. Tornare indietro, vederlo questo film, ma dall’inizio. Il sacrificio del bosco e il suo rito segreto. Ju Calenne. L’albero che diventa mito, il più alto, il più bello, il più rigoglioso, che possa sorprendere, meravigliare, ma dev’essere abbattuto. Il proprietario è all’oscuro. Da un bosco vicino all’abitato di Villagrande, quindi l’albero è tagliato, spogliati poi i rami e le fronde, evacuato a spalla dal bosco, e infine da un gruppo di persone piantato all’alba, artificialmente, nel sagrato della chiesa. L’operazione è svolta in gran segreto. Ju Calenne. E qui c’è il punto di non ritorno, la storia locale che per un giorno l’anno si “piega”, s’inchina, ma non alle pitture cristiane di Gatti, ma al nuovo mito, “Ju Calenne”. Il “reato consumato”, chiamiamolo così, della collettività di Villagrande, prende forma nel totem di legno che proviene da un mondo antico, esoterico, occupa lo spazio religioso, decreta e sancisce una nuova spiritualità, mentre la Chiesa come entità è lontana, si dilegua, si nasconde e vive un suo imbarazzo. Tanto, che la Curia, in passato, tentò sommessamente di suggerire un’altra collocazione al celtico Calenne. Immaginare come andò a finire.

* docente e scrittore

(5/ continua)

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