L'AQUILAMacerie, 11 mesi di ritardiDibattiti e tavoli: si scava a mano in un solo sito

Sulla questione si tiene un importante tavolo di concertazione a Roma per decidere sullo smaltimento. Il bilancio attuale parla di 11 mesi di ritardi e di un solo sito di deposito temporaneo, l’ex Teges

L’AQUILA. Con tutti i «tavoli» fatti sulle macerie da maggio scorso a oggi si sarebbero potute arredare le case vecchie e nuove degli aquilani. Tutte. Dibattiti, incontri e vertici hanno prodotto, finora, un solo sito di deposito temporaneo, l’ex Teges, dove 30 persone, esposte al caldo prima e alle intemperie poi, si piegano ogni giorno per trattare, a mano, le macerie. Svuotano il mare con un cucchiaino.

COLPE ANTICHE.
Se è stata quella delle carriole la manifestazione visibile del problema, le colpe e i ritardi nella sua soluzione sono antichi e per mesi sono cresciuti in un contesto di appelli inascoltati, allarmi autorevoli, avvisi di garanzia e appalti ritirati. Un problema partito male fin dall’approccio. Nei primi giorni dopo il sisma le macerie vengono trasferite a piazza d’Armi. Il primo cimitero dei pezzi di città distrutta. Poi spunta il sito ex Teges, ovvero il provvisorio che diventa definitivo. Inizialmente autorizzato fino a dicembre, l’unico «laboratorio» reperito nel territorio dove trattare qualcosa come tre milioni di metri cubi di materiale derivante da crolli e demolizioni, ottiene la deroga per un altro anno. A luglio 2009, appena tre mesi dopo il devastante terremoto, in emergenza pienissima, i dubbi su un appalto da 50 milioni concesso dal Comune alla ditta «T&P» scatenano la bufera sul sindaco Massimo Cialente. Quell’appalto viene ritirato, ma nel frattempo finisce nel mirino della Procura. Il Comune si difende: «Tutto trasparente: la procedura si è svolta sotto la vigilanza della prefettura e della Protezione civile». Il 24 agosto Bernardo De Bernardinis, vice di Bertolaso dichiara: «Abbiamo requisito e messo in ordine il primo sito». Sì, il primo e l’ultimo. Ne servivano altri. Tanti altri. I «tavoli» successivi li hanno pure individuati. Ma non sono stati mai attivati. L’ultimo dato ufficiale parla di nove siti ritenuti idonei, tre pubblici e sei privati, differenziati a seconda della tipologia dell’attività (discarica, deposito temporaneo, trattamento, ripristino ambientale). I tre pubblici si trovano a Paganica (ex Teges), Bazzano (nucleo industriale) e Barisciano (Forfona). Funziona solo il primo, che viaggia al ritmo di 500-800 tonnellate al giorno. Gli altri due non sono attivi: il primo tocca al Comune, l’altro alla struttura per la gestione dell’emergenza. Sono stati individuati già da ottobre dell’anno scorso, ma per attivarli non sono bastati cinque mesi. E chissà quanti ce ne vorranno ancora.

QUANTI ANNI?
Nel frattempo, il 4 ottobre 2009, l’assessore comunale all’Ambiente Alfredo Moroni dichiara al Centro: «Cinque anni per togliere tutte le macerie». Intanto già il 27 ottobre il sito ex Teges scoppia. La rimozione è vicina alla paralisi in quanto non funziona il meccanismo di entrata (assicurata da esercito e vigili del fuoco) e di uscita (affidata con bando). Escono le prime 10 tonnellate di macerie diventate inerti. Il sindaco Cialente, però, deve tirare fuori una letteraccia ai suoi dirigenti per sveltire il bando per la rimozione. Il 3 novembre i sindaci del cratere lanciano un nuovo allarme. «Da giorni si aggirano strani personaggi, vogliono le macerie». Poi vanno dal prefetto Franco Gabrielli che li avverte: occhio che vi scottate. Lo sanno bene a Pizzoli, San Demetrio ne’ Vestini e Villa Sant’Angelo. Alcuni amministratori finiscono indagati perché sul loro territorio sono state trovate macerie abbandonate. Il 4 novembre l’altolà del prefetto: «Se va avanti così smaltiamo in 50 anni». I sindaci rilanciano: «Dateci i mezzi o non ricostruiamo nulla». Poi, a uno dei tavoli istituzionali, si presenta la ditta marsicana Aciam che si propone. Imbarazzo degli amministratori («Macerie ad Avezzano? Roba da matti», dice Gianni Costantini di San Pio delle Camere), l’Aciam si butta sui rifiuti e corteggia i piccoli Comuni che l’Asm, l’azienda di casa, vorrebbe tutti consorziati sotto la propria bandiera. «Sulle macerie troppi ritardi: problema da risolvere con le ordinanze», denuncia il dirigente regionale Franco Gerardini. Ne arriveranno di tutti i tipi, dai pedaggi alle case B e C ai rimborsi per i mobili rotti. Ma le macerie resteranno extra-emergenza. All’ex Teges, intanto, si scava con le mani: 30 operai a turno ripescano oggetti personali, pistole, gioielli, foto, per poi avviare a recupero metalli, carta, plastica, vetro. Il Comune è in affanno e chiede aiuto alla Protezione civile. Ma il sito attivato rimane uno solo. Pizzoli ne offre cinque, ma quando i tecnici trovano rifiuti in una delle cave si blocca tutto. Il sindaco, indagato: «Ora faccio coi privati». Passa l’inverno e si arriva a oggi. Le verifiche sui siti non si fermano più, ma intanto 4 milioni e mezzo di tonnellate ingombrano strade e piazze e impediscono la ricostruzione. Il commissario Bertolaso, super-esperto in emergenze legate ai rifiuti, a fine gennaio saluta gli aquilani e, nonostante le promesse di sostegno, ingaggia un ping-pong col Comune. Neppure le promesse televisive nel salotto dell’aquilano Vespa cambiano il corso degli eventi. La gente, allora, scende in strada e, il giorno dopo, il commissario Chiodi lancia la trovata dell’esercito. Si profila una Napoli-2. Il commissario, che si dice pronto a violare, se necessario, la normativa europea, ora bussa al ministro Prestigiacomo che oggi alle 16 riceve il tavolo ambiente (Regione, Provincia, Comune, Protezione civile, Arta, Anci, Ispra).

«FACCIO IO». Non ultima, anche la Provincia fa la sua proposta. Stefania Pezzopane, ricandidata presidente, respinge le «pizzicate» del centrodestra e chiama «fastidioso scaricabarile» i botta e risposta sul tema. Il settore Ambiente elabora un’ipotesi di ordinanza: unico soggetto responsabile nella gestione delle macerie. «Se non lo vuole fare la Regione, lo farà la Provincia», dice la presidente. Sì ai siti in loco.

INFILTRAZIONI.
Massima attenzione, il pericolo è costante. Lo ricorda il prefetto. Su oltre 2000 aziende impegnate nel post-terremoto, a tre è stato revocato il certificato antimafia. Una l’ha riottenuto dal Tar. Sette le comunicazioni atipiche: avvertimenti alla stazione appaltante su certe aziende sulle quali sono emersi dubbi.

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