Mario Maccarone chiude il suo bar: colpa del terremoto

Ieri ultimo giorno di lavoro: non si può più andare avanti Nelle sue parole amarezza ma anche tanti bei ricordi

L'AQUILA. L'insegna dello storico bar «Gran Sasso», lungo corso Vittorio Emanuele, nel cuore della città ferita, da domani sarà spenta. Per sempre. Un pezzo della storia aquilana che se ne va. Non senza dolore.

Il titolare, Mario Maccarone, dietro il banco, serve gli ultimi caffè. E sfodera il suo solito sorriso affabile, da galantuomo. Ma dallo sguardo traspare tutta la malinconia per una «scelta forzata».

Dopo oltre mezzo secolo di lavoro e dopo aver conosciuto generazioni di aquilani ha deciso di abbassare per sempre la saracinesca del bar «Gran Sasso».

Fuori dal locale una scritta che Mario non avrebbe mai voluto appendere: cedesi attività.

Perché questa decisione?

«Colpa del terremoto, che ha davvero distrutto tutto: gli edifici, le attività, la speranza. La reazione, dopo il sisma, è stata immediata. Abbiamo riaperto il 10 luglio 2010, dopo aver effettuato qualche lavoretto all'interno del locale, con il certificato di agibilità parziale. Una scelta sull'onda dell’emozione e dei ricordi. Non volevamo gettare la spugna. Pensavamo di potercela fare, che il centro storico sarebbe presto rinato».

E invece cos’è accaduto?

«Il primo anno, tutto sommato, si lavorava bene: c’era un gran viavai di gente, volontari, protezione civile, operai e turisti. Poi, il tracollo. Gli incassi sono diminuiti vertiginosamente. Da tempo, ormai, passo le giornate dietro il bancone, ad aspettare invano che qualche cliente varchi la soglia del bar. Ore lunghissime e penose. E, intanto, ci sono l’affitto da pagare, le bollette da saldare. Impossibile andare avanti».

Eppure il bar «Gran Sasso» ha una storia gloriosa alle spalle, per decenni punto di ritrovo di tanti aquilani.

«Sono stati i miei genitori, Carmine e Rita, ad avviare l’attività nel 1955. Sempre nello stesso locale, alla fine di Corso Vittorio Emanuele. Nel 1978 siamo subentrati io e mio fratello Vittorio: i nostri clienti ci hanno dato tante soddisfazioni e la possibilità di tirare avanti due famiglie. Con la chiusura del bar se ne va un pezzetto del mio cuore. È una scelta dolorosa».

Le fotografie appese alle pareti sono testimonianze di vita vissuta. Quanti personaggi famosi sono passati di qui?

«Moltissimi. Intanto, i clienti storici degli anni Settanta e Ottanta: notai, avvocati, commercialisti e amici, tanti. Nel 1994 ho offerto un caffè a Pier Ferdinando Casini. Sono venuti da me anche Rosy Bindi, Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema».

Il ricordo più caro in 40 anni di attività?

«L’incontro con mia moglie Anna Patrizia, nel 1970. È entrata nel bar per fare colazione, un colpo di fulmine. Non me la sono lasciata sfuggire. Cinque anni dopo ci siamo sposati».

E gli anni d’oro della Perdonanza?

«Quelli sì che erano bei tempi! L'estate si tirava fino a tarda ora: il centro dell’Aquila pullulava di gente. Facevamo musica con l’amico Gigi Malavolta e alle tre del mattino si buttava giù la pasta: spaghetti gratis per tutti! Tra i ricordi più belli anche il rapporto speciale che ho sempre avuto con la squadra di rugby: il bar era frequentato da tanti giocatori, dopo gli allenamenti e le partite. Molti venivano dall’estero: partivamo in gruppo a vedere le trasferte e, poi, si veniva a brindare al bar Gran Sasso».

Si chiude un’epoca. E da domani?

«Farò il pensionato, dopo tanto lavoro e soddisfazioni. Mi dedicherò alla mia famiglia. Ho una splendida nipotina, Marta, che ha un anno e mezzo. E se qualcuno avrà bisogno del mio aiuto, eccomi pronto a collaborare. Ho settant’anni e ancora tanta energia da spendere».

E si può star certi che Mario Maccarone qualche idea se la farà venire. Da parte del quotidiano il Centro, di cui Mario è fedele lettore sin dal primo numero, gli auguri per il futuro e il grazie anche a nome di tanti aquilani.

Monica Pelliccione

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