L'avvocatessa Wania Della Vigna

L'AQUILA

Morì nel sisma, la Regione paga 1 milione 

Ente condannato in sede civile (insieme all’Azienda per il diritto agli studi universitari) a risarcire i familiari di una vittima

L’AQUILA. Finora, nei processi sui crolli avvenuti il 6 aprile del 2009 (in particolare nei processi penali) le responsabilità degli enti locali non erano mai emerse, ammesso che fossero state cercate. Ci è voluta la costanza, la passione e spesso la cocciutaggine di alcuni avvocati per arrivare, almeno in sede civile, a tirare in ballo le colpe di chi doveva vigilare su progettazioni, manutenzioni e sicurezza e non lo ha fatto. Pochi giorni fa (la sentenza porta la data del 16 agosto) il tribunale civile dell’Aquila ha condannato la Regione e l’Azienda per il diritto allo studio (Adsu) al pagamento di un milione e 200mila euro ai familiari di Hamade Hussein (conosciuto come Michelone), uno degli 8 ragazzi che hanno perso la vita nella Casa dello studente, crollata la notte del 6 aprile 2009.

Il sito della Casa dello Studente così come si presenta oggi

A darne notizia è l’avvocato Wania Della Vigna, che in questi anni si è battuta senza risparmio a sostegno dei familiari degli studenti deceduti e di quelli che rimasero gravemente feriti. La storia della Casa dello studente è una di quelle simbolo del sisma del 2009. Il processo penale ha portato alla condanna, in via definitiva, di quattro persone. Oggi un giudice ha stabilito che ci furono responsabilità civili anche da parte degli enti che non fecero fino in fondo il proprio dovere. La sentenza arriva a quasi 10 anni dal sisma e durante le tante udienze non sono mancati i soliti “scaricabarile” per evitare che si facesse un minimo di chiarezza.
Seppur in estrema sintesi, vediamo come viene motivata la sentenza. Fermo restando – afferma il giudice – la responsabilità dei quattro già condannati in sede penale e premettendo che «debba escludersi il carattere eccezionale o anomalo del sisma – tale da renderlo cioè un evento imprevedibile e pertanto imprevenibile – sussiste la responsabilità dei due enti ai sensi dell’articolo 2053 del codice civile: la Regione in quanto proprietaria dell’edificio e l’Adsu (azienda per il diritto allo studio) che l’aveva in comodato d’uso con obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria. L’articolo 2053 – è scritto nella motivazione – pone in capo al proprietario la responsabilità per i danni derivanti dalla rovina di un edificio – fattispecie cui è con ogni evidenza riconducibile il crollo della Casa dello studente – a meno che non provi che essa non dipende da vizio di costruzione o difetto di manutenzione. La responsabilità ha carattere oggettivo e si basa sulla circostanza che chi dispone del potere, materiale e giuridico, di controllo e di intervento sull’immobile, è tenuto a rispondere dei danni che esso cagiona. L’uso attribuito all’Adsu – con disposizione di legge – e con esplicito obbligo di manutenzione ordinaria e straordinaria, impone di estendere anche a tale ente la predetta responsabilità. Trattandosi di una responsabilità oggettiva, resta indifferente l’avvenuta assoluzione in sede penale dei vertici dell’Adsu, posto che la responsabilità penale individuale non può prescindere dall’elemento soggettivo, non richiesto invece dalla disposizione in questione, la quale, peraltro, si atteggia anche a responsabilità per fatto altrui, nel senso che, ove il crollo dell’edificio sia derivato da vizio di costruzione o difetto di manutenzione, il proprietario e chi lo aveva in comodato d’uso ne rispondono verso terzi, indipendentemente dall’eventuale imputabilità ad altri – ad esempio e in astratto a progettisti e/o appaltatori – dei vizi o del difetto. Nel caso di specie, detti enti non solo non hanno fornito la prova liberatoria necessaria, ma risulta anzi positivamente accertato che l’immobile collassò proprio per vizi originari di costruzione e per la difettosa manutenzione dello stesso, eseguita in dispregio delle cautele che avrebbero dovuto governare l’operazione».
Si tratta del secondo caso di risarcimento in sede civile dopo quello a favore dei figli di Vinicio D’Andrea e Angela Belfatto, morti a seguito del crollo della loro abitazione in via Luigi Sturzo numero 33. In questo caso il tribunale ha condannato il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e quello dell’Interno perché, attraverso i loro uffici periferici, non avevano «diligentemente adempiuto ai compiti di vigilanza e controllo di rispettiva competenza in materia edilizia, consentendo la realizzazione di una costruzione difforme dalle prescrizioni normative vigenti all’epoca, incapace di resistere all’azione di un sisma non avente carattere anomalo o eccezionale». Le due sentenze di fatto stabiliscono che le istituzioni devono vigilare a garanzia della sicurezza dei cittadini. Se non lo fanno ne debbono rispondere in tribunale.
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