«O la bandiera o te ne vai»

Rimozione del tricolore, diffida del prefetto a Cialente che non molla e va da Letta

L’AQUILA. «E la bandie-e-ra/di tre colo-o-ri/sempre è stata la più bella...». Chissà se il prefetto catanese Francesco Alecci, firmando il decreto-diffida con cui intima a Massimo Cialente di rimettere «immediatamente» il tricolore al posto suo, pena l’avvio dell’iter per la sua «rimozione» da sindaco, si sarà ricordato questo canto patriottico. Una strofetta che quasi certamente quelle «giovani generazioni» – rimaste «turbate nei sentimenti», come scrive lo stesso prefetto, perché, di punto in bianco, non hanno visto più il tricolore a scuola («scuole di latta», ribatte velenoso Cialente) – nemmeno conoscono. Il sindaco si barrica al Comune, riunisce i fedelissimi, chiama mezzo mondo e alla fine respinge formalmente la diffida del prefetto e stamani stesso incontra Enrico Letta. Oppure il viceministro di Alfano Filippo Bubbico. Questa la promessa che arriva al termine di un’altra giornata con la pressione a 200 per lo pneumologo Cialente alle prese con uno dei casi più spinosi della sua carriera.

PREFETTI. Così, 48 ore dopo la protesta clamorosa del sindaco che riporta a Roma, al Quirinale, la sua fascia tricolore, e ammaina da Comune e scuole la bandiera di quello Stato «che ci ha abbandonato», il rappresentante del governo attua la linea dura e guadagna la copertina per la prima volta dal suo arrivo (a novembre 2012), quando giunse a prendere il posto di Giovanna Maria Rita Iurato che la copertina la guadagnò, a sua volta, per l’inchiesta sugli appalti truccati a Napoli (per la quale rischia il processo) e per le intercettazioni sulle lacrime «finte» e le risate «nervose» davanti alle macerie della Casa dello studente. Ora, quello stesso prefetto che, in sede di comitato per l’Ordine e la sicurezza pubblica ha tolto all’autista del sindaco la qualifica di agente di pubblica sicurezza, cosa che ha mandato in bestia Cialente, gli ha scritto due paginette fitte fitte di «preso atto che...osservato che...viste le...considerato che...atteso che...rilevato che...ritenuto di...affermato che...visti l’art...decreta che «il sindaco dell’Aquila è diffidato formalmente a porre termine con immediatezza alla condotta di cui in narrativa, riacquisendo subito la propria fascia tricolore – della quale dovrà essere sempre fatto un uso rispettoso delle norme di legge vigenti – e disponendo la immediata ricollocazione della bandiera nazionale sugli edifici pubblici di questo capoluogo dai quali essa è stata rimossa. Il Questore è incaricato di provvedere alla urgente notifica del presente provvedimento». Gli mandano la polizia, insomma. Ma Cialente, sotto tiro, rifiuta sia la missiva sia l’offerta di una scorta per un mese. «Se ne accorgono adesso, dopo 4 anni? Non la voglio. Presto la scorta in questa città servirà ad altri, non a me».

PANINO DI TRAVERSO. Il boccone va di traverso a Cialente all’ora di pranzo. L’ingrato compito di notificargli l’«avviso di sfratto» tocca alla dirigente Digos Giuseppina Terenzi. Come fu ai tempi delle carriole. Data una scorsa alle due paginette il sindaco va su tutte le furie. Chiamati a sé i più stretti collaboratori esclama: «Leggete, guardate, mi vogliono cacciare. Che mi caccino, allora, ma per davvero. Cacciatemi, cacciatemi come si fa coi sindaci mafiosi». E avanti in un crescendo di decibel. Poi si attacca al telefono e tra le chiamate fatte e ricevute ci sono anche quelle di esponenti del governo come i sottosegretari Filippo Patroni Griffi e Giovanni Legnini. Appuntamento a Roma, ore 12, Palazzo Chigi. Il sindaco si lascia andare a uno sfogo amarissimo. Arriva a dire che se deve andarsene lui, «è bene che se ne vadano dall’Aquila pure coloro che stanno dietro al provvedimento». È convinto che il ministro dell’InternoPdl Alfano e le sue propaggini locali sapessero. Ma c’è dell’altro. Alcuni presidi – nemici politici giurati del sindaco – storcono il naso quando gli toccano la bandiera italiana nelle scuole rattoppate «perché non arrivano i soldi per ricostruire», scrive Cialente nell’ennesima lettera a Napolitano. Allora si muove la Digos e, in stretto raccordo col prefetto – preoccupato del fatto che «la condotta del sindaco mette a rischio il tranquillo e ordinato svolgersi dei rapporti interni alla comunità locale, creando potenziali turbative all’ordine e alla sicurezza pubblica», oltre a «turbare i sentimenti delle giovani generazioni» – i poliziotti, tra un’indagine per rapina e una per scippo, fanno il giro delle scuole per contare quanti tricolori mancano all’appello. Cialente, a sera, è deciso: «Non mollo, arrestatemi. La città è con me».

©RIPRODUZIONE RISERVATA