Tredicenne vittima di una vendetta a luci rosse: scatta la denuncia alla polizia postale

Una donna si era presentata su Instagram con un’immagine da togliere il fiato, convincendo la sua vittima a inviargli video in cui posava nudo e infine l’avrebbe ricattato
L’AQUILA. Si era presentata su Instagram con un’immagine da togliere il fiato, convincendo la sua vittima a inviargli video in cui posava nudo e infine l’avrebbe ricattato: «Se non mi dai 200 dollari mando il video a tutti i tuoi contatti». Protagonista del revenge porn, ovvero la vendetta pornografica, è un aquilano di 13 anni. Il ragazzino ha sporto denuncia, raccontando agli investigatori di aver conosciuto la donna il mese scorso sui social e di aver allacciato una relazione di amicizia. Rapporto che si fa sempre più intimo fino all’invio di un’ultima immagine, un pegno d’amore che per il 13enne si trasforma in un boomerang. Gli accertamenti sull’utenza telefonica, ancora in corso da parte degli agenti della Polizia giudiziaria della sezione operativa per la sicurezza cibernetica dell’Aquila, conducono all’estero con un profilo difficile da rintracciare. Il fatto avvenuto ai danni di un minorenne aquilano è solo uno degli esempi che l’ispettore Wilson Zonfa con la sua collaboratrice, la sovrintendente Ernesta Di Luzio, hanno riportato ieri ai 220 studenti della scuola media Carducci.
COINVOLGERE LE FAMIGLIE Una lezione straordinaria su adescamento online, sexting e reati d’odio fortemente voluto dalla referente bullismo e cyberbullismo Maria Zugaro De Matteis, anche docente di arte e immagine e dalla dirigente Alessandra Di Mascio per promuovere tra gli alunni una cultura del rispetto, prevenendo la diffusione di fenomeni di violenza tra pari. «Il progetto», dice la referente bullismo, «è indirizzato quest’anno alle classi prime e seconde ma già dal prossimo anno, si lavorerà, a stretto contatto con le famiglie, in un obiettivo comune fondamentale legato alla prevenzione di questi fenomeni legati maggiormente a una realtà sociale molto complessa che riguarda le nuove generazioni». Dai dati evidenziati dagli esperti emerge che sia alle elementari sia alle medie la forma di bullismo prevalentemente diffusa consiste in offese, parolacce, insulti o prese in giro. Ma è dalla scuola superiore che s’insinuano i maggiori pericoli. L’ispettore spiega che anche quando, «essendo consapevoli dell’errore, si cerca di cancellare i dati, la polizia postale rintraccia gli autori e scatta la denuncia, con i genitori chiamati a rispondere per gli atti illeciti commessi dal figlio minorenne». Per tutti, la scuola è percepita come il luogo dove è meno probabile diventare vittime di violenza, ma secondo l’ispettore Zonfa non è così perché i primi epodi di bullismo avvengono proprio nelle chat di classe. «In classe se il compagno ci rimane male per una battuta ci fermiamo, ciò non accade in rete perché non possiamo vedere la reazione e potremmo andare oltre».
I presenti hanno tutti il cellulare ma alla domanda dell’ispettore: chi lo sa usare bene? Nessun ragazzo ha il coraggio di alzare la mano. «Diversamente dalle materie studiate a scuola nessuno dei presenti ha mai letto un manuale d’uso e nessuno ha mai insegnato loro rischi e pericoli connessi. I ragazzi sono nati in un’epoca digitale, ma le vulnerabilità della tecnologia non sono mai state loro insegnate», conclude l’ispettore Zonfa.