Ugo e Benedetto, le vittime dimenticate di Lucoli Alto 

Dal “faldone della vergogna” riemerge la figura dei due giovani trucidati dai nazisti Allievo carabiniere e bracciante, furono freddati a mani alzate: avevano 21 e 19 anni

LUCOLI. Nel Comune di Lucoli, nei pressi della frazione di Collimento e non molto lontano da un gruppo di residence realizzati nel secondo dopoguerra, c’è un’area denominata “Fonte dell’Arsura”. Secondo una tradizione locale si chiama così perché sarebbe una fonte che ha una portata d’acqua “alterna” e spesso si “secca”. Il 27 settembre del 1943, 78 anni fa, a “Fonte dell’Arsura” due giovani lucolani vennero trucidati a sangue freddo (dopo aver tentato la fuga si erano arresi) da militari tedeschi che stavano rastrellando il territorio in cerca di soldati inglesi e americani che venivano “nascosti” spesso anche nelle case dei contadini (su questa Resistenza silenziosa e solo apparentemente meno “eroica” andrebbero fatti ulteriori approfondimenti).
CHI ERANO. Le carte relative all’indagine giudiziaria sull’episodio – fatta male sin dall’inizio e nel 1951 “archiviata” dalla Corte d’Appello – così identificano i due giovani uccisi: Ugo Ammannito – fu Luigi e di Feliciantonia Tresca – nato a Lucoli l’8 luglio 1922 (21 anni) allievo carabiniere aggiunto nella 3ª compagnia Legione Allievi Roma in licenza straordinaria in attesa di richiamo e Benedetto Di Carlo – fu Luigi ed Emilia Sponte – nato il primo agosto 1924 (19 anni) bracciante che, secondo l’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, era un alpino reduce dalla campagna di Russia.
IL FALDONE DELLA VERGOGNA. La storia di quell’eccidio è nota agli storici più attenti: ne ha scritto per grandi linee Walter Cavalieri in “L’Aquila in guerra” e l’episodio viene citato, come detto, nell’Atlante delle stragi naziste e fasciste. Finora la fonte per ricostruire la vicenda è stato il rapporto dei carabinieri della stazione di Lucoli del 29 settembre 1943 rinvenuto anni fa nell’archivio di Stato tra le carte della Prefettura. L’intero fascicolo è invece contenuto nel “faldone della vergogna” nascosto per decenni in un magazzino del tribunale e consegnato, insieme ad altri, all’Archivio di Stato dopo il terremoto del 2009.
LA SENTENZA. Dalle carte rinvenute (e in gran parte inedite) si apprende che i magistrati della Procura dell’Aquila nel maggio 1950 ripresero in mano il fascicolo e chiesero ai carabinieri di Lucoli di fare “ulteriori indagini” per “addivenire all’identificazione dei militari tedeschi responsabili degli omicidi”. La risposta arrivò dopo tre giorni: “Le ulteriori indagini hanno dato esito negativo”. Non si spiega quali siano state le ulteriori indagini anche se, sette anni dopo i fatti, pensare che i carabinieri di una piccola stazione come quella di Lucoli potessero rintracciare in Germania gli assassini dei due giovani era pretesa assurda, quasi “comica”. Quel reparto di militari tedeschi poteva essere individuato nell’immediatezza dei fatti (e in teoria lo si poteva fare, visto che stava di stanza all’Aquila e ci rimase a lungo), ma la cosa non avvenne per motivi che col senno del poi sarebbe troppo semplicistico e banale stigmatizzare. Il 20 maggio del 1951 la Corte d’Appello pronunciò la “sentenza contro ignoti militari tedeschi” e dichiarò “il non doversi procedere per essere rimasti ignoti gli autori del reato”.
LA MEMORIA. A Lucoli i nomi di Ammannito e Di Carlo sono incisi, insieme ad altri, in un cippo dedicato “ai valorosi Caduti di Lucoli” dove Ammannito è scritto Ammanniti, con la i finale. In anni recenti non risultano cerimonie specifiche in ricordo di quella tragedia. Ma vediamo ora il contenuto del fascicolo e in particolare quello che si legge nel verbale dei carabinieri del 29 settembre 1943 (già noto per gran parte) e nel verbale di interrogatorio di un testimone ritenuto – anche dai carabinieri – il più credibile relativamente alla ricostruzione dei fatti.
IL VERBALE. I carabinieri di Lucoli così scrissero il 29 settembre 1943 alle ore 10: “Verso le ore quattordici del 27 andante fummo informati che alcuni militari tedeschi avevano ucciso a colpi di fucile due individui. Ci portammo subito sul posto e da indagini esperite è risultato che verso le ore 7 del 27 settembre giunsero a Lucoli provenienti dall’Aquila una trentina di militari tedeschi trasportati a mezzo di due macchine. Appena giunti si divisero immediatamente in varie pattuglie e, di corsa, incominciarono a perlustrare i monti allo scopo di catturare prigionieri angloamericani che secondo loro si aggiravano in questo territorio, fermando e perquisendo tutti coloro che incontravano. Verso le ore 12,30, rimontati in macchina, fecero ritorno all'Aquila senza aver catturato nessuno. Una di queste pattuglie, e precisamente quella incaricata di esplorare la località denominata “Fonte Arsura”, fermò Ugo Ammannito e Benedetto Di Carlo, il primo con le braccia alzate, e dopo vivace discussione e percosse, vennero entrambi uccisi a colpi di moschetto. Dopo aver ricoperto il corpo di Ugo Ammannito con della paglia i militari si allontanarono. I due uccisi, che abitano in contrada Lucoli Alto, appena seppero della venuta in Lucoli dei tedeschi, essendo di classe soggetta alla presentazione alle autorità, si diedero alla fuga (in realtà da un’altra testimonianza risulta che quel giorno i due erano già nel bosco per fare legna e lì furono avvertiti dell’arrivo dei tedeschi, ndr) per timore che i militari tedeschi fossero venuti a cercarli e portarseli con loro. Presenti al fatto non c’erano testimoni però sul monte prospiciente a quello ove avvenne l’uccisione, alla distanza di circa cinquecento metri (probabile però che siano stati meno, ndr) in linea d’aria si trovavano Alberto Chiappini – fu Ambrogio e Teresa Palumbo – di 44 anni e Paolo Cusella – fu Giovanni e di Giuseppina Galli – di 37 anni, entrambi braccianti di Lucoli, i quali hanno dichiarato quel che risulta dall’accluso verbale e che cioè i suddetti Ugo Ammannito e Benedetto Di Carlo furono uccisi dai soldati tedeschi. Sui cadaveri, esaminati dal medico condotto Marino Santacroce, sono stati riscontrati: su Ammannito Ugo, ferita d’arma da fuoco in corrispondenza dell’emitorace sinistro e su quello di Di Carlo Benedetto ferite di mitraglia in corrispondenza della regione mascellare sinistra (gli spararono in faccia, ndr). Corre voce che Ugo Ammannito fosse armato di pistola e Benedetto Di Carlo di roncola nel momento in cui vennero fermati dai tedeschi. Però, da ricerche fatte sul posto, non sono state rinvenute né è stato possibile assodare se effettivamente fossero armati. Stando così i fatti i cadaveri vennero fatti rimuovere e seppellire. Di quanto sopra abbiamo redatto il presente processo verbale che rimettiamo una copia alla Pretura dell’Aquila, una ai nostri superiori e una rimane nel carteggio del nostro Ufficio”.
IL TESTIMONE. Ecco il verbale del principale testimone: “Interrogatorio di Paolo Cusella circa la morte di Ugo Ammanniti e Benedetto Di Carlo entrambi di Lucoli a opera di militari tedeschi a causa di guerra. Il 28 settembre 1943 alle ore sedici innanzi a noi maresciallo maggiore Ferdinando Alonzi comandante della stazione di Lucoli e il carabiniere della medesima Carmelo Gelsomini è presente Paolo Cusella che dichiara quanto appresso: verso le ore 9 del 27 andante (27 settembre 1943, ndr) mi trovavo in montagna in località Peschio Cancello di Lucoli per riprendere delle pecore colà lasciate al pascolo quando intesi una raffica di fucile mitragliatore accompagnata da colpi di moschetto in direzione del monte prospiciente nella località denominata Fonte Arsura distante dal luogo in cui mi trovavo 500 metri circa in linea d’aria. Vidi un individuo che scendeva dalla montagna con le mani alzate in direzione di una pattuglia composta di circa quindici militari tedeschi. Appena costui fu al cospetto dei militari dal loro atteggiamento mi convinsi che un’animata discussione si stava svolgendo e poco dopo intesi un colpo di arma da fuoco e il borghese cadde al suolo e fu ricoperto con paglia dagli stessi militari. Dopo qualche istante osservai un altro borghese che, scendendo dal suddetto monte, venne preso da detta pattuglia e nello stesso tempo udii un colpo di fucile tirato dai militari tedeschi all’indirizzo del borghese che vidi a terra. Poscia i militari stessi si allontanarono. Non ho altro da aggiungere”. Stando a questa testimonianza, almeno uno dei due uccisi fu ricoperto con la paglia come fosse la carcassa di un animale. I certificati di morte ufficiali sono stati redatti addirittura il 28 settembre 1949 forse quando i corpi furono riesumati per essere sepolti in un luogo diverso.
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