Vittorini: anestetizzata la paura del sisma

Grandi Rischi, i testimoni: quella maledetta riunione condizionò le nostre scelte

L'AQUILA. Le rassicurazioni della commissione Grandi Rischi anestetizzarono la paura atavica del sisma di molti aquilani che di fatto furono ingannati. E' la sintesi delle deposizioni di ieri al processo ai sette componenti dell'organismo accusati di omicidio colposo.

Nella prima parte della mattinata sono stati sentiti due tra i più credibili testimoni dell'accusa: l'avvocato Maurizio Cora e il medico Vincenzo Vittorini (foto).  «Era il periodo di Pasqua», ha rievocato tra le lacrime l'avvocato, «dovevamo andare fuori e invece decidemmo di far tornare la nostra figlia Antonella da Napoli. La Commissione aveva fatto la valutazione che non ci sarebbero stati eventi letali, che ci sarebbero state scosse di quella intensità o minori e che avrebbero causato danni solo a strutture vecchie e non a palazzi come quello dove abitavamo noi». «La notte del 5 aprile», ha aggiunto, «dopo la prima scossa avemmo un sussulto, perché il terremoto non lascia mai indifferenti. Ci mettemmo a riflettere e ricordammo che un libro caduto il 30 marzo dallo scaffale di mia figlia, dopo questa scossa non fosse caduto: abbiamo pensato quindi che fosse stata una scossa di intensità minore». Cora ha anche ricordato il comportamento della sua famiglia prima della riunione. Infatti quando ci fu la scossa del 30 marzo l'intera famiglia uscì di casa per trovare riparo dai crolli al parco del castello nonostante una delle figlie avesse la febbre alta. Il 5 aprile, invece, dopo le rassicurazioni, e non avendo problemi di alcun tipo, essi decisero di restare in casa, una decisione condizionata dagli esiti di quella riunione che purtroppo si rivelò fatale.

«Negli anni '50 e '60, quando si verificavano delle scosse uscivamo sempre. Sono comportamenti che si tramandano da padre a figlio», ha precisato ulteriormente Cora raccontando i suoi ricordi dei terremoti del 1958 e quello del 1967.  Anche Vincenzo Vittorini, che ha perso la moglie e una bambina nel crollo in via Sturzo, ha ricordato la paura atavica del sisma degli aquilani e della sua famiglia in particolare. «Mio padre», ha detto, «ci aveva spiegato quale era la trave portante sotto cui rifugiarci prima di uscire di casa dopo le scosse. Se il terremoto avveniva di notte guardava fuori per vedere se altre luci si accendessero e se i vicini scendessero in strada così da uscire anche noi. Rimanevamo tutta la notte in macchina, con i plaid a quadrettoni, perché con il buio le scosse fanno più paura».

«Dopo la scossa del 30 aprile» ha detto al giudice «mio figlio mi chiamò a Popoli dove stavo lavorando dicendo che era stata molto forte, che si erano mosse le tegole del palazzo di fronte. Dissi a mia moglie di uscire immediatamente di casa, le intimai di uscire, di stare, però, attenta alla scale, di chiamare gli altri condomini che erano più anziani e di telefonarmi quando sarebbe stata in macchina. Tornando all'Aquila mi accorsi che qualcosa era cambiato perché c'era tanta gente fuori, tantissimi ragazzi fuori dalla Casa dello studente, le strade erano piene».

«La Commissione Grandi rischi fu motivo di discussione in famiglia» ha poi aggiunto, Vittorini, «essendo un chirurgo penso che quello che dice la scienza è vero; ho sempre pensato che questi organismi fossero importanti per la gente comune per dare delle direttive. Ho impresso nella mente alcune dichiarazioni e alcune persone: Barberi disse che i terremoti non si possono prevedere ma che globalmente la situazione era tranquilla».

«Quella sera», ha detto, «ho contravvenuto a quello che mi aveva insegnato mio padre: si scappa e poi si riflette. Noi quella sera, invece, abbiamo riflettuto. Decidemmo di restare sul chi va là ma al contrario del 30, quando spostammo le auto in spazi aperti di via Crispi, quella sera non pensai a mettere fuori la macchina. La verità è che dopo la riunione è come se fossimo stati anestetizzati, ci era stata tolta la paura atavica del terremoto».

Nel corso dell'udienza sono stati ascoltati come testimoni Sergio Bianchi e Marinella Fiore, genitori di Nicola Bianchi, scomparso a 22 anni nel crollo di via D'Annunzio. Si è parlato anche di uno scambio epistolare nei giorni dell'emergenza con l'allora capo della Protezione civile, Guido Bertolaso; argomento che sarà chiarito con dei documenti quando anche quest'ultimo sarà ascoltato come teste.

«Dopo il terremoto», ha ricordato Bianchi, «scrissi una mail al sito della Protezione civile e lo invitai a dimettersi. Ricevetti una risposta senza firma ma sono certo che fosse lui». Una risposta di cui ancora non è stato reso noto il contenuto.  Nell'ultima parte dell'udienza sono stati ascoltati testimoni legati alla storia di Claudia Carosi, giovane legale aquilana deceduta a trent'anni la notte del sisma. Per prima di lei è stata sentita la sorella Ilaria, poi Daniele De Nuntiis, fidanzato della giovane scomparsa. «Dopo le rassicurazioni della Cgr», ha detto il giovane, «l'atteggiamento di Claudia cambiò dalla notte al giorno, tornò non dico sorridente come prima ma quasi».

Un cambiamento confermato da Alessia De Amicis, amica stretta di Claudia. «Era tranquilla» ha testimoniato «perché dopo la riunione del 31 si rassicurò dalle parole che uscirono». La stessa cosa ha detto un'altra amica, Irene Tomassi.  Ieri, tra gli imputati era presente solo Bernardo De Bernardinis. Gli altri sono Franco Barberi, Enzo Boschi, Giulio Selvaggi, Gian Michele Calvi, Claudio Eva, e Mauro Dolce.  Prossima udienza il 7 dicembre alle 9 sempre con i testimoni dell'accusa a deporre.

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