La notte da resa dei conti: il voto scatena la rivolta

26 Febbraio 2021

Dopo mesi di polemiche e rinvii, arrivò il giorno dell’approvazione dello Statuto Lanci di monetine in aula e i consiglieri costretti a uscire scortati dalla polizia

L’AQUILA. Dopo mesi di polemiche, rinvii, scontri verbali, il 26 febbraio 1971 si arriva al “redde rationem” cioè alla resa dei conti. Quel giorno di 50 anni fa il consiglio regionale fu chiamato a votare lo Statuto che conteneva i due articoli, il numero 2 e il numero 45 la cui approvazione scatenò poi la rivolta passata alla storia come “i moti dell’Aquila”. Per ricostruire quello che accadde ci affidiamo a tre testimoni autorevoli e oculari: Giuliani Lalli, che all’epoca era funzionario della prefettura (ha coronato la sua carriera come prefetto di Pescara), Silvio Graziosi oggi 91enne, giornalista e fondatore dell’ufficio stampa della Regione e Luigi Marra che scrisse per Aquilasette la cronaca di quel consiglio pubblicata in una edizione straordinaria che uscì sabato 27 febbraio 1971.
GIULIANO LALLI. Giuliano Lalli qualche anno fa affidò al Centro i suoi ricordi di quello storico consiglio regionale. «L’Aquila quel giorno si era mobilitata», disse Lalli, «il prefetto Luigi Petriccione, temendo disordini, aveva chiesto invano l’invio di rinforzi. La riunione ebbe inizio nel pomeriggio. Mentre i consiglieri discutevano di varie problematiche, in alcuni uffici della prefettura, dove prestavo servizio, si susseguivano incontri tra esponenti politici alla spasmodica ricerca di una soluzione accettabile per tutti. Nel frattempo i cittadini affluivano sempre più numerosi occupando oltre la parte della sala consiliare riservata al pubblico anche il corridoio e la scalinata di accesso al palazzo. Si respirava un’aria di estrema tensione. Nessuno faceva pronostici. Verso sera si sparse la voce che l’accordo era stato raggiunto. Il prefetto consigliò il presidente del consiglio regionale Emilio Mattucci di attendere che il pubblico, per stanchezza, abbandonasse i lavori prima di fare comunicazioni sull’esito delle trattative, ma il presidente ritenne che la soluzione trovata avrebbe accontentato tutti e, verso le 19, in un’aula stracolma annunciò: «Il capoluogo della Regione Abruzzo e sede degli organi regionali è la città dell’Aquila». A tali parole il pubblico esplose con un fragoroso applauso e grida entusiastiche. Il presidente proseguì «le riunioni del consiglio e della giunta regionale avranno luogo all’Aquila e Pescara». Ricordo di aver captato soltanto l’inizio della parola “Pe” e non aver percepito “..scara” perché si scatenò un putiferio indescrivibile. Fischi, insulti, lanci di monetine venivano indirizzati in particolare ai consiglieri regionali aquilani: una monetina colpì il consigliere Brini che reagì minacciando di lanciare una bottiglia verso il pubblico ma fu bloccato dal colonnello dei carabinieri Nucciarelli. Il presidente Mattucci terminò a stento la lettura della norma con la distribuzione degli assessorati: 7 a Pescara e 3 all’Aquila. A questo punto la protesta divenne incontenibile e i consiglieri regionali attraverso una porta laterale si rifugiarono nello studio del prefetto e cominciarono a temere per la propria incolumità anche se il prefetto li rassicurava che avrebbe provveduto a farli uscire. Dopo alcuni tentennamenti la controversa norma statutaria fu approvata con 38 voti favorevoli, uno contrario (Ferri - Msi) e un astenuto (Susi-Psi) e si cercò di non far trapelare la decisione all’esterno. Verso le 23 arrivò il Battaglione allievi carabinieri da Chieti. Con pazienza e fatica si cercò di convincere il pubblico che la seduta del consiglio era stata rinviata e con difficoltà si riuscì a far defluire il pubblico e a chiudere la porta esterna della sala. Soltanto in quel momento i consiglieri regionali, attraversando l’alloggio del prefetto, uscirono dal retro dello stabile dove erano attesi da mezzi della polizia».
SILVIO GRAZIOSI. «Lo spazio riservato al pubblico nella sala delle riunioni della prefettura dell’Aquila», ha detto di recente Silvio Graziosi a un cronista dell’Ansa, «era, come in tutte le precedenti riunioni, stracolma di pubblico e di campanilismo. Il presidente Mattucci annunciò che nella riunione dei capigruppo era stato approvato il testo dei tanto attesi articoli dello Statuto regionale già predisposti per essere approvati dal consiglio. Mattucci cominciò il più breve e celebre suo discorso nella storia della neonata Regione Abruzzo. Io ero lì, seduto davanti al tavolo riservato ai giornalisti, da dove udivo persino il respiro affannoso dei consiglieri regionali», ha sottolineato Graziosi, «consapevoli che di lì a poco, come in effetti avvenne, si sarebbe innescata quella miccia che per una notte e due giorni mise a ferro e fuoco L’ Aquila. Io ero venuto a conoscenza che il presidente Mattucci aveva trascorso l’ultima settimana a preparare il discorso per l’importante circostanza. Lo aveva riletto cinque-sei volte rimarcando proprio il punto dolente sul capoluogo. Mattucci, nonostante le prove di lettura, incappò in un lapsus diabolico quanto nefasto. Al passaggio più atteso sbagliò una congiunzione fondamentale. Lesse: “Il consiglio e la giunta regionali si riuniscono all’Aquila e a Pescara” invece di leggere, come concordato dai capigruppo “all’Aquila o a Pescara”. Quel lapsus azzerava il primato dell’Aquila. Un cerino gettato sopra una montagna di polvere da sparo. Ad accenderlo, ci pensò una correzione: il lapsus del professor Mattucci fu infatti corretto dal consigliere e, anche lui professore, Francesco Benucci, noto purista della lingua italiana. Nel tentativo di rimettere grammaticalmente le cose a posto, Benucci gridò, alla volta del presidente Mattucci, per tre volte: o!, o!, o!, che per una platea già nervosamente carica suonò come un incitamento alla ribellione. E nell'aula gremita da una folla mai vista, successe il finimondo».
LA CRONACA IN DIRETTA. Il pezzo di Luigi Marra uscito sull’edizione straordinaria di sabato 27 febbraio 1971 (diffusa in tarda mattinata) era stato “aggiornato” alle prime ore del giorno. Sotto a un enorme titolo fatto dal direttore Walter Capezzali “Vergogna” l’attacco era “La rapina è compiuta”.
Poi si passava ad analizzare nel dettaglio quella seduta: «Dopo circa 2 ore di trattazione degli argomenti più vari, come la riforma tributaria» scrive Marra, «all'improvviso il consigliere Pietro Cerceo del Psi chiede la sospensione della seduta per una riunione straordinaria dei capigruppo. L’aria comincia a riscaldarsi, a nessuno sfugge che la riunione riguarda il discorso sul capoluogo».
Durante la pausa il Comitato d’azione aquilano consegna ai consiglieri una lettera appello, l’ultimo tentativo per scongiurare «una frattura nella unità degli abruzzesi» e per ribadire che «L’Aquila capoluogo unitario della regione abruzzese è garanzia affinché l’Ente Regione operi nell’interesse dell’Abruzzo e per il bene degli abruzzesi. Viva l’Abruzzo». Subito dopo ai consiglieri viene consegnato un telegramma (che Marra definisce una intimidazione) a firma del sindaco e del presidente della Provincia di Pescara dove si leggeva tra l’altro: «Informati eventualità problema capoluogo emergente in riunione capigruppo comunichiamo a nome cittadini e provincia Pescara nostro netto dissenso e decliniamo ogni responsabilità eventuali conseguenze». Insomma chi doveva decidere a quel punto si trovò tra due fuochi. Anche Pescara era pronta a mobilitarsi. Quando la seduta riprese intervenne il presidente Emilio Mattucci che secondo Marra fece una lunga introduzione «che suona però come un elogio funebre all’Aquila» chiosò il cronista. Poi accadde quello che hanno raccontato i testimoni Lalli e Graziosi.
LA RABBIA. Per calmare gli animi e permettere ai consiglieri di lasciare la prefettura fu detta una bugia: «Il voto sullo Statuto non c’è stato, seduta rinviata». Invece il voto c’era stato. Nell’anticamera.
Il segreto di Pulcinella durò poco. Alle due di notte tutta la città sapeva. E la rabbia diventò incontenibile. (8-continua)
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