«Abbiamo temuto di morire, adesso si riparte col sorriso» 

Il racconto dei fratelli Dottore, titolari del bar Fabrizi : è iniziato tutto con una febbre, l’ha presa anche mamma

PESCARA. «Abbiamo avuto paura di morire, di dover lasciare per sempre i nostri affetti. Grazie ai medici e gli infermieri dell'ospedale di Pescara che ci hanno salvato la vita. Ora stiamo bene, siamo guariti completamente e il futuro sarà bellissimo». Mario e Gianni Dottore, 55 e 51 anni, titolari del bar Fabrizi, pescaresi residenti a Montesilvano, nati a Charleville, nelle Ardenne francesi, hanno vissuto sulla loro pelle il dramma della pandemia.
Si sono ammalati ai primi di marzo, entrambi con febbre e una diagnosi di polmonite interstiziale, preludio al coronavirus. Per Mario si sono spalancate le porte del reparto Covid, al settimo piano, dove è rimasto ricoverato per 26 giorni, dal 17 marzo all’11 aprile, curato con successo con la terapia Tocilizumab. L’ultimo tampone negativo, il 5 maggio scorso, che gli rivela di «essere guarito». Gianni invece è stato cinque ore al pronto soccorso il 14 marzo, curato e rimandato a casa in buone condizioni di salute.
Ce l’hanno fatta, ma nel cuore e nell’anima porteranno segni che non si cancelleranno mai.
Soprattutto, raccontano dal bar di via Fabrizi riaperto otto giorni fa, sono rimasti «addolorati dalle cattiverie gratuite corse sui social. È stato terribile. Ci hanno fatto passare per gli untori del quartiere, addirittura che avevamo infettato un supermercato. Tutto falso. Siamo stati costretti a difenderci. Erano ancora i primi tempi dell’emergenza e non si conosceva bene la situazione, ci hanno chiamato da tutta Italia anche per esprimerci affetto, mentre qui in tanti si accanivano ingiustamente contro di noi».
«Questa esperienza», raccontano mentre preparano caffè e cocktail dietro il bancone del bar ai clienti storici Franco e Pasquale Clerico, «ci ha insegnato che quando si ha la salute e la famiglia accanto, la battaglia della vita è già vinta, il resto si sistema».
Mario ha pagato il prezzo più alto. Lui è stato aggredito dal coronavirus. Una febbricola ai primi di marzo, «per una settimana sono andato avanti a 38 -39 di febbre, gli antibiotici non mi bastavano. Nel frattempo sentivo i tg e cominciavano a capire che la situazione era seria. Iniziavo ad avere crisi respiratorie, avevo il fiato corto, non riuscivo a parlare. In casa c'erano i miei figli Lorenzo e Valentina, 23 e 21 anni, in seguito sottoposti a quarantena, ma stanno bene. La corsa al pronto soccorso. La diagnosi. Il terrore. In reparto mi hanno attaccato al respiratore, ma le mie condizioni peggioravano. Morirò, pensavo, senza poter rivedere i miei cari. In camera sei solo, con i tuoi pensieri e il telefono. Accanto a me Gabriele, 76 anni, anche lui malato, ma migliorava più in fretta di me. Non dimenticherò mai le carezze di un infermiera che di notte mi svegliava e mi chiedeva: stai bene? Grazie al professor Giustino Parruti, al dottor Sanrocco e a tutto il personale che hanno trattato i malati con grande umanità. Tra l’altro anche mamma Rosetta, 74 anni si è ammalata ed è stata ricoverata una settimana in ospedale, mi sentivo tanto in colpa, tutto a causa mia».
«Ma non è vero», lo rincuora il fratello Gianni, «è successo, non è colpa di nessuno, ora stiamo bene, questo conta».
Gianni, sostenuto dalla moglie Emanuela, dai figli Edoardo e Luca e il papà Benito, ottantenne, ha retto tutto il peso del dolore di una grande famiglia (tutti insieme vivono in un palazzo di Montesilvano), si è tenuto dentro la crudeltà dei social e il dramma della malattia dei suoi cari, senza mai riferire nulla, in quel periodo, a chi stava male. E senza mai vacillare. Col cuore gonfio di amarezza e tristezza, ha tenuto duro. Fino al giorno prima di Pasqua quando, a Mario, i medici hanno comunicato che era guarito.
Senza avvisare nessuno, Mario è tornato a casa con l’aiuto dei volontari della Croce Rossa «che mi hanno accompagnato fino dentro l'abitazione, sono stati di una gentilezza infinita» e quando si è parato davanti ai figli increduli, «mi sono sciolto in lacrime. Ho fatto la mia quarantena e solo dopo il 22 maggio ho potuto riabbracciarli». Ora, rivelano i fratelli Dottore, «se ci chiamano a donare il plasma per aiutare altre persone, siamo pronti».
Nel frattempo si sono concessi una gita in motocicletta con gli amici a Capestrano e finalmente hanno potuto «riassaporare un po’ di libertà».
Il loro grazie va anche ai volontari della Protezione civile e al Comune di Montesilvano che «ci hanno portato spesa e farmaci a casa e hanno lavorato con grande efficienza».
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