Abruzzo, riparte la legge che salva aziende dismesse 

Decine di vecchie aree industriali dismesse possono cambiare destinazione d’uso La norma proposta da Marcovecchio, Sospiri e altri innesca subito le reazioni

È approdato in commissione Territorio il progetto di legge presentato dal leghista Manuele Marcovecchio sulla riqualificazione delle aree produttive dismesse. Il provvedimento, che porta la firma anche di altri esponenti del Carroccio e del presidente del consiglio regionale Lorenzo Sospiri, prevede la possibilità trasformare in negozi, ma anche in centri direzionali, ricreativi, sportivi e in ristoranti, i tanti capannoni e edifici abbandonati che si trovano nelle aree industriali gestite dalla società Arap (Azienda regionale delle attività produttive) e nel distretto del consorzio per lo sviluppo industriale (Csi) dell’area metropolitana Chieti-Pescara.
Una settimana fa la commissione, presieduta dallo stesso Marcovecchio, ha dato inizio alle audizioni. A essere ascoltate per prime sono state le associazioni di categoria (Confesercenti, Confcommercio, Cna e Confartigianato), che, dopo le perplessità già esternate nei mesi scorsi, rimangono fortemente critiche. Finita questa fase, si passerà alla discussione vera e propria, con la presentazione degli emendamenti. Quindi la legge approderà in consiglio regionale.
LA PROPOSTA. Il disegno di legge -“Disposizioni per favorire il recupero, la riconversione e la riqualificazione delle aree produttive” - è, di fatto, una riedizione aggiornata di un precedente testo, sempre a firma di Marcovecchio, che approdò in consiglio nell’estate 2019, per poi essere ritirato sotto la minaccia dell’ostruzionismo delle opposizioni di centrosinistra e del Movimento 5 Stelle. Nella proposta sono definite aree degradate le “aree dismesse, da bonificare, suscettibili di una rigenerazione urbana o produttiva” e edifici dismessi “gli opifici, gli immobili e i capannoni industriali inutilizzati, sottutilizzati o non più produttivi”. Basta aver girato un po’ l’Abruzzo per sapere che sono centinaia le aree e gli edifici industriali rientranti nella categoria dei siti abbandonati. L’elemento caratterizzante della legge è l’articolo 3, che stabilisce che sono consentiti interventi di recupero e riconversione che contemplino cambi di destinazione d’uso degli immobili dismessi da industriali/produttivi a edifici con finalità direzionali, sportive, ricreative, pubbliche, di ristorazione, commerciali di vicinato o di “media superficie di vendita”.
È proprio quest’ultimo il passaggio che piace meno alle associazioni di categoria delle piccole e medie imprese e alle opposizioni, che temono che la norma possa trasformarsi in un cavallo di Troia per dare il via libera alla realizzazione di nuovi centri commerciali, mentre è ancora formalmente in vigore la moratoria votata nella scorsa legislatura. A occuparsi dell’individuazione delle aree e degli edifici dismessi da riqualificare saranno l’Arap e il Csi di Chieti-Pescara che, dopo l’entrata in vigore la legge, avranno 60 giorni di tempo per produrre un censimento di siti e immobili con i requisiti di idoneità.
Ad avvalersi delle misure contenute nella legge potranno essere anche i Comuni per le aree e gli insediamenti produttivi di loro competenza.
PREMIALITÀ. La proposta di legge individua una serie di agevolazioni per i privati che decideranno di pagare di tasca propria la bonifica delle aree e il recupero degli edifici. Si tratta, in sintesi, di detrazioni sulle spese sostenute per gli interventi e del riconoscimento di una volumetria maggiore rispetto a quella esistente, non superiore, però, al 20%.
LE CRITICHE. «Se veramente si vuole perseguire la riqualificazione, basterebbe utilizzare le leggi che già esistono, che prevedono la possibilità di intervenire con progetti stralcio organici», affermano Confcommercio, Confesercenti, Cna e Confartigianato «In questo tentativo c'è invece il rischio concreto di trasformare le ex aree industriali in zone ad altissima concentrazione di parchi commerciali».
LA REPLICA. Critiche che Marcovecchio respinge: «La parola centri commerciali, nel testo, non c’è. Esiste, tra le nuove possibili destinazioni d’uso, quella della media distruzione, che è una cosa ben diversa. E comunque l’ultima parola spetterà agli enti locali, cioè ai Comuni».