BREVE STORIA DI UN GIOVANE POETA E DELLA SUA PRIMA VOLTA

2 Maggio 2013

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Cesare quel pomeriggio era in casa a studiare, per migliorare i suoi voti. Erano trascorsi solo un paio di mesi di scuola, ma andava già malissimo. Si prospettava un anno difficile. Il pensiero di Anna, la sua compagna di classe, un po' lo tormentava, ma non tanto. Era troppo bella, inarrivabile. A volte si masturbava pensando alle sue tette. Poi si pentiva, perché credeva fosse un peccato ridurre ciò che provava ad un gesto così volgare. Eppure, in quell'attimo di oblio, sentiva una carezza. Vedeva i suoi colori vivi ed intensi; cuscini e lenzuola sembravano forme morbide e sconosciute ed il suo profumo tornava sotto il naso, folle ed inebriante, come il primo giorno di scuola. Infine, una goccia di sudore scorreva dalla fronte sul naso ed un pensiero in una bolla di sapone galleggiava in aria e poi scoppiava, manifestandosi allegramente: "Ti amo". Inebetito, stanco morto, ucciso dalla fatica del piacere, rimaneva sul letto a guardare quella bolla schiantarsi e scoppiare.

La prima volta che la vide era seduto dietro il suo banco, composto come un soldatino di piombo, fermo, immobilizzato dalla paura. Era l'inizio dell'anno scolastico. Cesare aveva una sorta di lanugine sul mento e qualche pelo sotto il naso. La massa di capelli era tagliata in due al centro del cranio e scendeva giù in ciocche mosse e appiccicaticce. La faccia mostrava segni freschi di cicatrici e nuove pustole stavano spuntando. Non solo, gli sudavano le mani e doveva scoreggiare per le coliche addominali. Quando era nervoso, aveva sempre un gran mal di pancia, che solitamente si acuiva a contatto con un adulto autoritario. Quella mattina rischiò di farsela sotto.

Nel frattempo, osservava quelli che sarebbero stati i suoi compagni di classe. Notò fra loro una ragazzina con gli occhi arrossati dal pianto ed alcune lacrime congelate sulle guance: era Anna. Immediatamente, si chiese come si potesse essere a tal punto deboli, poi scoreggiò e comprese che ognuno aveva il proprio modo di soffrire.

Rimbalzò dai ricordi direttamente sul letto, dove si trovava in quel noioso pomeriggio. Appena cominciò a piovere, quasi scosso dal ticchettio sul vetro della finestra, si alzò e di nuovo s'incurvò sul libro di matematica. Più dei numeri, però, amava le lettere, quindi le parole per la loro sonorità. Non si trattava di orecchio, non era portato per la musica. Anzi non ci capiva proprio nulla di canzoni e strumenti musicali. Non sapeva cantare, né suonare alcunché. La sonorità che sentiva nelle parole e nella loro corretta giustapposizione in una frase, o meglio in un verso, non aveva a che fare con la materialità del suono che quelle producevano, bensì con un sentimento. Il suono delle "sue parole" era più vicino ad un disegno, ad un'immagine come un ricordo forte e vivido. Così sentiva Cesare, vedeva quei versi come ricordi. Tornava con la mente ad uno stato d'animo che non aveva mai vissuto.

In quel giorno di pensieri sconci, prese la decisione di scrivere la sua prima poesia d'amore. Ci impiegò tre ore buone, arrivò lungo e la madre lo chiamò per la cena.

Cesare aveva quattordici anni, fuori pioveva e dopo qualche minuto passato a contemplare il suo scritto, si rese conto che non importava nulla a nessuno di come si sentisse, ma che di sicuro avrebbe dovuto finire matematica e poi fare latino, quindi ripassare storia e leggere un capitolo di filosofia. Amava solo quest'ultima materia. Sospirò e per un istante credette che sarebbe rimasto vergine a vita.

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