Bussi, nella discarica dove la bonifica è a rischio

La gara da 40 milioni a un bivio, ma l’apertura delle buste slitta fino a quando la Solvay non cederà le aree inquinate al Comune

INVIATO A BUSSI. È rossa la terra accanto alla discarica Tre Monti di Bussi. Un cane ci passa sopra e va dritto fino al recinto rotto: è lì, a un passo dal fiume Tirino, che c’è una pentola con la pasta al sugo. Un cane che fa la guardia alla discarica più grande d’Europa con le sue 600-700 tonnellate di rifiuti tossici seppelliti sotto terra intorno al 1972. Una discarica “anestetizzata” con un intervento di quasi 4 milioni di euro pagato dalla Montedison. Ma ciononostante, secondo l’Arta, è ancora una minaccia: le analisi del 2015, in un terreno privato confinante con la discarica, «evidenziano che il sistema di messa in sicurezza di emergenza della discarica Tre Monti non è in grado di contenere la contaminazione all’interno dei confini del sito». Tanto che, in quel cortile, c’è anche la mela avvelenata: tracce di inquinanti sono state trovate su un albero di melo cotogno e su un pioppo.

A Bussi, il paese che si è sacrificato all’altare del lavoro ricevendo in cambio un inquinamento senza pari, il benvenuto arriva da questa terra che non ha il colore della terra. Bisogna passarci sopra per entrare nel polo chimico. O meglio, in quel che ne resta. Tra capannoni che cadono a pezzi e case ridotte a ruderi: è un paese fantasma che si alterna a un paese che resiste.

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Bussi – 600 posti di lavoro persi negli ultimi 10 anni e altri mille bruciati nel decennio precedente – aspetta e spera. L’unica speranza è legata alla bonifica dei siti contaminati, soprattutto le aree chiamate 2A e 2B a monte del polo chimico. Ma la gara d’appalto da circa 40 milioni di euro per la bonifica, bandita nel 2015 dall’allora commissario del bacino Aterno-Pescara Adriano Goio, uno degli ultimi atti prima di morire, è appesa a un filo: lo rivela il verbale della «riunione urgente» del 1° febbraio scorso che si è svolta al ministero dell’Ambiente a Roma. Nell’incontro tra la dirigente ministeriale Laura D’Aprile, il sindaco Salvatore Lagatta, il dirigente della Regione Franco Gerardini e il direttore generale dell’Arta Francesco Chiavaroli è stato messo nero su bianco che i soldi stanziati non bastano. A fronte di un «fabbisogno» di 45.655.238,69 euro ne sono «disponibili» 44.755.338. Su questo, il verbale precisa che, «d’intesa» con il governatore Pd Luciano D’Alfonso e con il sottosegretario Mario Mazzocca, la Regione ha assicurato «piena disponibilità» a coprire il milione mancante. Ma c’è un altro nodo irrisolto: finora, l’apertura delle buste è sempre slittata perché manca il tassello decisivo e cioè la cessione delle aree di proprietà della Solvay al Comune. Il verbale rivela: «Il sindaco si dichiara d’accordo con il passaggio delle aree ed evidenzia che tale previsione era già stata proposta nella bozza di accordo di programma non più finalizzata» il 23 maggio dell’anno scorso. Quindi, adesso, si farà quello che si sarebbe potuto fare quasi 9 mesi fa. È la vittoria di Lagatta? «Lungi da me l’idea di prendermi una rinvicita», risponde il sindaco, «io ho sempre e solo due obiettivi: concludere finalmente la gara e fare la bonifica dei terreni inquinati; poi la reindustrializzazione mettendo a disposizione di chi vuole investire a Bussi circa 8-9 ettari di terreni puliti».

La cessione delle aree potrebbe essere solo una formalità perché la Solvay avrebbe voluto già passare la proprietà al Comune. Del resto, l’azienda avrebbe tutto l’interesse a farlo: la bonifica è un obbligo e, se l’accordo saltasse, il ministero potrebbe agire di forza addebitando i costi proprio alla Solvay. Ora, il pallino del “gioco” è tornato nelle mani del ministero che dovrà «verificare» la disponibilità di Solvay al «passaggio» delle aree e, solo dopo, si firmerà l’accordo di programma tra Comune, Regione, ministero dell’Ambiente e Solvay «al fine di garantire il completamento della procedura di gara». «Adesso, ci sono tutte le condizioni per dare seguito alla gara», assicura Lagatta.

Senza la bonifica, Bussi sarebbe un paese condannato a una morte lenta. Lo dice il paesaggio ferito dell’area di Bussi Officine, prima cuore pulsante del nucleo industriale e ora un’area in declino. Alle fabbriche ancora aperte si alternano i capannoni in disuso e le case, un tempo abitate dagli operai, ora sono vuote e cadenti. Nell’area della Solvay c’è anche una vecchia cabina telefonica: è così vecchia che c’è ancora il logo della Sip e dentro ci crescono le erbacce. Sul ponticello che porta verso la centrale turbogas della Edison c’è un cartello dimenticato: «Pesca consentita solo con sistema no kill». Ma, ormai, pescare da queste parti fa solo paura.

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