I 50 anni di don Francesco: «Io, prete felice tra i poveri»

7 Settembre 2025

Da San Luigi alla cattedrale di San Cetteo, fin da piccolo il sogno di aiutare. Da mezzo secolo al servizio dei fedeli

PESCARA. Ultimo di sei figli, chiedeva di continuo a mamma e papà un fratellino o una sorellina «perché non volevo essere l’ultimo della famiglia». Sarà un segno del destino o «il dono del Signore», ma alla fine Francesco Santuccione di fratelli e sorelle nella vita ne ha avuti tantissimi e ogni giorno continua ad accoglierli, tendendo la mano alla porta della sua chiesa, la cattedrale di San Cetteo. Da 50 anni, don Francesco è il prete felice tra i poveri, tra chi è più fragile e chiede un aiuto. Tanto da essersi inventato la distribuzione degli spicci il lunedì mattina davanti alla porta del suo ufficio, insieme – e quello ogni giorno della settimana dalle 7 del mattino – a un succo di frutta e un cornetto per la colazione. «È quello che mi rende felice e mi fa stare bene. È la strada che mi ha indicato il Signore», dice don Francesco che quest’anno ha festeggiato i 50 anni di ordinazione sacerdotale nello stesso giorno della settimana, il sabato, di quel 30 agosto 1975, quando a 24 anni si è steso a terra davanti all’altare della chiesa di Santa Lucia, a Cepagatti. La stessa parrocchia, nascosta tra le vie del piccolo borgo, dove ha avuto la vocazione e ha capito che quella doveva essere la sua strada. Così, per 50 anni e ancora tanti.

Don Francesco, quando ha capito che il Signore la stava chiamando?

«Era il giorno della mia prima comunione, sono persino svenuto. Lì ho sentito la chiamata al sacerdozio. Andavo sempre a messa, al catechismo e aiutavo in chiesa. Mi faceva stare bene».

Chi è stato il suo parroco di riferimento?

«I miei primi passi sono stati mossi insieme a don Peppino Di Francesco, parroco di Cepagatti, che ha accolto la mia richiesta, guidandomi negli studi e consigliandomi».

I suoi genitori cosa hanno pensato quando ha detto che si voleva fare prete?

«Mi hanno sempre appoggiato. Papà Giuseppe faceva parte del Comitato feste e frequentava la chiesa di Cepagatti. Quando ho detto che volevo fare il prete mi hanno solo chiesto se fossi davvero sicuro della scelta e mi hanno invitato a riflettere. I miei fratelli, invece, all’inizio dicevano: “no, no, no”. Poi hanno rispettato questa scelta. Mamma mi ha appoggiato sempre perché era anche lei molto vicina alla chiesa».

Che ricordo ha di sua mamma?

«La mamma è la cosa più bella che c’è. Siamo umani anche noi. Ho persa mamma Filomena quando aveva 56 anni. Una grande sofferenza per me. Dissi: Signore, perché me l’hai tolta. Poi ho pregato tanto. Quando sono diventato prete mi sono accorto che mia mamma è morta il 4 agosto, andai sul calendario e vidi che era il giorno di San Giovanni Maria Vianney, noto come patrono di tutti i parroci del mondo. Lei non mi ha mai spinto verso questa strada, ma così mi ha voluto lasciare un segno».

Dagli studi in seminario a Penne e poi Chieti fino al giorno in cui è stato ordinato.

«Mi hanno fatto fare di tutto. Mentre studiavo, a 22 anni, sono diventato Diacono, poi rettore del seminario di Pescara. E alla fine dopo due anni nella chiesa in cui ho fatto la comunione e la cresima, sono stato ordinato prete. Era il 30 agosto del 1975, un sabato sera. C’era tutta la mia famiglia».

Da prete a parroco di una chiesa.

«C’è voluto tanto tempo. Ma io ho sempre obbedito. Erano i primi giorni di maggio del ’90. Mi chiamò il vescovo, Monsignor Antonio Iannucci. Mi disse: “A te piace la parrocchia, vai a fare il parroco”. E io gli dissi: No, Eccellenza. Solo se è volontà di Dio. Siamo rimasti tre minuti in silenzio, uno davanti all’altro. Mai una cosa del genere. Eravamo diventati rossi. Poi lui dissi: Sì, è volontà di Dio. Devi andare nella chiesa di San Luigi Gonzaga, a Pescara».

E quella fu la sua prima chiesa.

«Ci sono rimasto per 22 anni e cento giorni. Il vescovo mi fece la nomina a vita, ma l’ho saputo dopo. Abbiamo lavorato tanto con i giovani, abbiamo fatto la prima festa con il ricavato della lotteria che andava ai poveri. Fu un grande successo. C’è stato tanto gioco di squadra. Poi i lavori al campetto, quelli strutturali, l’appartamento per i sacerdoti, l’ascensore e l’aria condizionata in chiesa».

Si aspettava una chiamata per la cattedrale di San Cetteo?

«No. Ero tranquillo perché sapevo di avere la nomina a vita a San Luigi. Poi nel 2012 sono stato scelto dal vescovo, Monsignor Tommaso Valentinetti. Ho capito che era volontà di Dio e così mi sono fidato».

Cinquanta anni dopo, lei è il prete dei poveri tra la gente. Non a caso come regalo per il suo anniversario le hanno fatto un dipinto con un senzatetto.

«Mi ha aiutato tanto questo. Ma c’è anche una grande collaborazione dei laici. A me piace il gioco di squadra, sarà forse perché vengo da una famiglia numerosa. Qui a San Cetteo abbiamo tanti poveri che aiutiamo, non farlo o non riuscirci mi tormenta. Molti ci chiedono soldi, dobbiamo stare attenti perché non posso dargli gli spicci per la droga. Così gli farei del male. E ci sono alcuni qui davanti che non riesco ad aiutare, ci sto male. Quando l’uomo vince il suo istinto e si dà agli altri è la cosa più bella. Noi, siamo servi del Signore. Noi dobbiamo solo fidarci».

C’è stato un momento difficile in questi anni?

«Quando a San Luigi abbiamo terminato dei lavori di ristrutturazione importanti. Non dormivo più. Il mio fisico non reggeva, sono andato dal dottore, mio cugino. Poi con la preghiera ho ripreso la calma, la pazienza e poi è stato grazie... ai biscotti Oro Ciok al cioccolato fondente. Una scoperta».

Fantastico. Ma don Francesco, lei ha mai avuto un ripensamento?

«No, il ripensamento mai. C’è stato un po’ di scoraggiamento, possono venire le tentazioni. Ma poi ci si rimette in cammino spirituale e si cresce».

Come era Francesco da piccolo?

«Vengo da una famiglia contadina, lavoravano entrambi la terra e io aiutavo a pascolare le pecore. Badavo anche ai miei fratelli ovviamente, anche se ero il più piccolo. Non sono mai stato una grande studioso a scuola, a dir la verità. Chiedevo al Signore di aiutarmi anche in questo».

E quale era il tuo sogno da piccolo?

«Non ci pensavo, venivo da una realtà molto umile».

E ora, a 74 anni, che sogno ha?

«Quello di rimanere attaccato al Signore, perché se sto con lui non temo nulla. Mi ama».

Don Francesco, cosa vorrebbe regalare a questa vita?

«La gioia di vivere. Vedere gli altri felici. Io sono un prete felice».