«Imprigionati dal ponte nuovo»

I titolari della Generalmarmi: «La nostra fabbrica è transennata, non lavoriamo più». Diffida al Comune

PESCARA. «Se il Comune ha deciso che dobbiamo chiudere la nostra attività e che dobbiamo andarcene da qui che lo dica chiaramente». A parlare, senza mezzi termini, sono Paolo e Fiorello Liberatoscioli, titolari della storica azienda cittadina Generalmarmi, nata nel 1929 che ha la sede in via Valle Roveto dal 1951, proprio di fronte al cantiere, di recente apertura, per la realizzazione del ponte nuovo. Dal 30 marzo, senza alcun preavviso, gli operai della ditta che sta eseguendo i lavori, hanno transennato, dall'altra parte della strada rispetto al cantiere, tutta la proprietà dei Liberatoscioli (in totale circa 6mila metri quadrati) impedendo di fatto la possibilità di continuare a lavorare e di ricevere clienti.

Infatti, le transenne, alte quasi due metri e ricoperte non solo con la classica trama arancione ma anche con un telo nero, chiudono e oscurano un cancello in via Valle Roveto e due vetrine nelle quali sono esposti dei marmi in via Gran Sasso. Inoltre, con questa azione, viene anche impossibilitato l'utilizzo del parcheggio privato al lato della strada riservato ai clienti della Generalmarmi. Come se non bastasse le transenne ostruiscono la cabina elettrica, che in caso di necessità non si può più raggiungere.

I Liberatoscioli, per la realizzazione del ponte nuovo, si sono già visti espropriare un’area di circa 3mila metri quadrati (all'interno della quale sono anche rimaste diverse lastre di marmo e una fontana antica di pregio in marmo statuario, perché non è stato concesso ulteriore tempo per poterle riprendere), adesso la loro attività è completamente cinta dalle transenne. «Il primo problema», sottolinea Paolo Liberatoscioli, «è che con le transenne sembra che sia chiusa l'attività. Evidentemente, il Comune ha stabilito che noi dobbiamo chiudere. Ci hanno anche impedito l'uso del parcheggio di nostra proprietà. Il cancello di accesso per i mezzi non si può usare, ci hanno completamente oscurato le vetrine di via Gran Sasso che avevamo aperto per far capire alla gente che siamo operativi. Così molti pensano che stiamo ristrutturando. Da tre giorni qui non si vedono più clienti».

I Liberatoscioli, tramite il loro legale, hanno presentato una diffida formale per far rimuovere la recinzione, sia al Comune che alla ditta che ha vinto l'appalto. «Vogliamo», aggiunge Fiorello Liberatoscioli, «che ci dicano chiaramente se dobbiamo andare via, non è giusto agire in questa maniera subdola. In queste condizioni per noi è impossibile lavorare e la chiusura immediata del nostro lato è del tutto immotivata. Nessuno si è degnato a venire qui e a dirci qualcosa. Hanno chiuso solo noi, ma non la villa confinante e l'altro lato di via Gran Sasso. Di questo passo saremo costretti a chiudere».

«Siamo arrabbiati», scrivono in una lettera i giovani della terza generazione dei Liberatoscioli, «perché il Comune ci sta togliendo e spogliando di tutto ciò che i nostri nonni e genitori avevano costruito in tanti anni. Ora non cederemo più nulla al Comune e siamo delusi dall'arroganza sfoderata dai suoi dirigenti. Dobbiamo essere risarciti per il danno arrecato e per quello che ci verrà arrecato, ancora, nei 6mila metri quadrati dove ancora lavoriamo. Siamo disposti a tutto. Abbiamo dato lavoro, stipendio e pensioni a tanti dipendenti e ora non resteremo a guardare».

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