l'intervista

«L’arresto, gip senza personalità»

D’Alfonso contesta i magistrati che lo mandarono ai domiciliari nel 2008: il pm influenzò il giudice

PESCARA. Arrestato ai domiciliari dal 15 al 24 dicembre 2008 con l’accusa di tangenti e poi sempre assolto. Il presidente Pd della Regione Luciano D’Alfonso ripercorre la sua storia giudiziaria e rivela di essersi ritrovato «in un ingranaggio accusatorio»: «Povero a chi ci capita», dice D’Alfonso che, a distanza di 8 anni, contesta il pm e il gip dell’epoca. Uno sfogo che coincide con il giorno del suo 51° compleanno che cade oggi. E D’Alfonso rivela un desiderio: riscrivere le norme della giustizia. «Nella seconda parte della mia vita pubblica vorrei essere utile per dare punti di vista all’ordinamento nazionale della giustizia».

Presidente, si sente vittima di un errore giudiziario?

«Sono stato sottoposto all’accertamento della verità e ho conosciuto il sistema delle garanzie. Un primo e un secondo livello giudicante, per tempo, hanno potuto e saputo far emergere la verità. Ma io mi sono dovuto organizzare con una incredibile e consistente forza documentale che ha richiesto sforzo, sacrificio, tempo e anche solidarietà di bravure e competenze. Ma quanti sono i cittadini che non arrivano a disporre di tali bravure e competenze? Questo è uno dei beni da presidiare: tutti devono poter contare sul diritto alla difesa».

Nove giorni agli arresti, anni di processi : cosa rimane a distanza di tempo??

«Ho sempre pensato che per il rilancio di un territorio contassero solo le infrastrutture, nuove e moderne. Adesso, a 51 anni, mi sono convinto che più di tutto conta l’infrastruttura della giustizia: leggi chiare, personale competente che ha studiato davvero, figure amministrative a supporto, tecnologie. E poi cultura dell’informazione perché molto di quello che si monta come panna montata deriva dal ruolo di certa informazione».

Ha detto che bastano due persone per arrestare un cittadino: cosa vuol dire esattamente?

«Sì: per avere una licenza di pesca nelle acque dolci ci vogliono tre persone, per togliere la libertà a un cittadino bastano due persone e poco poco capita che tra i due uno abbia, per postura caratteriale, la capacità di influenzare l’altro, che magari fa il gip, povero chi ci capita».

Perché allora non ha chiesto un risarcimento per l’ingiusta detenzione?

«Il mio avvocato e mio padre mi dicono sempre che, per le mie funzioni e responsabilità pubbliche, devo sentirmi un reggitore dello Stato. A volte, però, ci ho pensato affinché da questo potesse scaturire un insegnamento per chi usa o ha usato fare safari. Ma io non voglio ingigantire la mia esperienza, tra l’altro sono un cittadino che ha ottenuto il prevalere della verità. Ma quanti non riescono a ottenere questo pronunciamento?».

Come cambia la vita dopo un arresto?

«Io sono stato colpito perché le persone non sono stalattiti isolate: ci sono anche la famiglia, e nel 2008 i miei figli erano piccoli, e il lavoro e tanta gente ha chiesto e voluto sapere. E se quello che è successo a me, capitare in un ingranaggio accusatorio, accadesse a un mio conterraneo di Piano Fara di Rosciano? Come potrebbe organizzare la difesa? Su questo, nella seconda parte della mia vita pubblica, che non so quanto durerà, vorrei essere utile per dare punti di vista all’ordinamento nazionale della giustizia». (p.l.)

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