La criminalità ieri e oggi e gli allarmi ignorati del ’94: «La mafia esiste anche qui»

Come sono cambiati gli affari della malavita: dalle bische ai reati finanziari e la politica di 30 anni fa che chiuse gli occhi. Stasera l’inchiesta su Rete8 con il programma “31 minuti”
PESCARA . “Criminali ieri e oggi”. È il titolo della quarta puntata di “31 minuti”, il settimanale di approfondimento di Rete8 in collaborazione con il Centro che va in onda questa sera alle ore 22.30. A parlare dei mutamenti della criminalità in Abruzzo, un viaggio nel tempo dalle bische clandestine fino ai reati finanziari, Roberto Cosentino, ex capo della squadra mobile di Pescara e Chieti negli anni Ottanta e Novanta, il comandante regionale della guardia di finanza, il generale Fabio Mendella, e il comandante provinciale di Pescara della finanza, il colonnello Giuseppe Lopez.
LA MALA CAMBIA PELLE Dagli anni Novanta a oggi, la criminalità è cambiata anche qui: nell’Abruzzo di trent’anni fa, la malavita non aveva paura di mostrare la sua faccia più violenta pur di fare affari. Omicidi efferati con i corpi senza vita chiusi nel bagagliaio delle auto, sequestri di persona, gioco d’azzardo, estorsioni e minacce con le armi puntate e poi rapine alle banche, la prostituzione e l’immancabile spaccio di droga. I documenti di quel periodo della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia raccontano di un Abruzzo stretto tra la malavita locale e la criminalità organizzata che arrivava dalla Campania, dalla Puglia e anche dalla Sicilia. L’Abruzzo era considerato un territorio a rischio e non sembrava un mistero. Questo è un passo del rapporto della commissione dopo una visita in Abruzzo di 31 anni fa: «Si profila la situazione dei territori che sono esposti a rischi del tutto peculiari per la contiguità, anche geografica, con aree in cui la presenza di strutture mafiose è assai consistenti. Ci si riferisce all’Abruzzo e alla Basilicata, dove il primo pericolo è rappresentato da questa contiguità geografica e dalla facilità di comunicazioni con zone ad alta densità mafiosa». Un allarme mai raccolto dalla politica abruzzese con la criminalità, invece, pronta a occupare la zona grigia del potere economico. E adesso, più di trent’anni dopo, i criminali sono anche quelli che operano dietro le quinte e cercano l’anonimato per guadagnare sempre più soldi: si chiama criminalità economico finanziaria con l’obiettivo dichiarato di mettere le mani su locali, commercio e appalti.
LA VOCE DEL PROCURATORE Quella delle infiltrazioni criminali in Abruzzo è una storia di allarmi ignorati. Il più eclatante è questo: «Non sarei sincero con me stesso se dicessi che a Vasto non c’è la mafia». Non sono chiacchiere da bar ma l’audizione, nel 1994, dell’allora procuratore di Vasto in Commissione parlamentare antimafia. Un atto d’accusa lanciato in una sede ufficiale davanti a una schiera di deputati e senatori.
SOGGIORNO OBBLIGATO
Il rapporto di quella Commissione, guidata da Luciano Violante, dice che, all’epoca, le regioni che registravano la maggior presenza di soggiornanti obbligati erano «nell’ordine, la Lombardia, la Toscana, il Piemonte, la Basilicata, l’Abruzzo; tutte zone, come ognuno vede, di sicuro rischio e che non avrebbero davvero bisogno di siffatte presenze». Quindi, negli anni ’90, i pregiudicati mettevano radici in quell’Abruzzo che la politica locale dipingeva come un’isola felice nonostante gli allarmi lanciati dalla magistratura.
TANGENTI E POLITICA I primi anni ’90 erano gli anni dell’incertezza, anche politica: l’Abruzzo era spazzato dal vento della Tangentopoli con inchieste e arresti fino ai piani alti della politica. E in quell’Abruzzo la malavita spadroneggiava: tra il 1° luglio del 1991 e il 30 giugno ’92, gli omicidi volontari – consumati e tentati – sono saliti da 22 a 25, i sequestri di persona da 8 a 10, le rapine da 230 a 340, i furti da 18.585 a 29.414. Le estorsioni sono state 157, mentre i delitti collegabili a fenomeni di terrorismo, mafia e camorra sono stati 19. In questo scenario, ci sono casi in cui pregiudicati o mafiosi di altre aree sono stati uccisi anche in Abruzzo, fuori dalla loro zona naturale. Su questo fronte, le carte della Commissione spiegano: «Dapprima, si è pensato a motivi occasionali ma, non di rado, si è finito per scoprire che c’era qualcosa di più. La verità è che la contiguità rappresenta un rischio proprio per il possibile insediamento, per l’opportunità di collocare intanto una testa di ponte in una zona che potrebbe espandersi, e così via».
PESCARA IN CRESCITA In quel momento storico, gli anni ’90, Pescara era una città in espansione e rappresentava un’occasione d’oro per la malavita. E insieme a Pescara cresceva tutta la costa, a partire dai palazzi: «L’interesse di soggetti e gruppi di stampo mafioso, non solo endogeno, si è appuntato sullo sviluppo che andava assumendo la fascia costiera che ha al suo centro Pescara, così come gruppi analoghi sono stati prontissimi ad interessarsi alla costruzione dello stabilimento di Melfi della Fiat o allo sviluppo agro-alimentare della costiera ionica della Basilicata». A Pescara, dice la relazione della Commissione parlamentare antimafia, «si era verificato il passaggio di molti esercizi commerciali in mano a soggetti pugliesi e campani, esercizi la cui apparente scarsa remuneratività non sembrava minimamente preoccupare gli stessi che, anche in presenza di scarsi affari, continuavano a gestirli, ostentando, nel contempo, un ottimo tenore di vita. Tale fenomeno di subingressi interessa anche la zona di Avezzano». È il classico esempio del riciclaggio dei soldi sporchi.
GIOCARE A CARTE C’erano le bische: si giocava a carte avvolti dal fumo. Ma non era questo il reato principe. «Il fenomeno dell’usura si salda spesso con la gestione delle bische e del gioco d’azzardo attraverso il quale si rastrella denaro che viene concesso a tassi usurari sia ai giocatori stessi che a soggetti che hanno necessità di prestiti. Tale meccanismo innesca inevitabilmente, il fenomeno delle estorsioni in caso di mancata restituzione delle somme prese in prestito». Il rapporto della Commissione antimafia dice che tutto questo non era affatto una leggenda: «Questi, ovviamente, non sono esempi scolastici, ma sono fenomeni già presenti nella realtà della regione, come è stato ampiamente dimostrato dallo scontro tra i clan contrapposti Savignano e della Ricciotta, culminato con l’omicidio di Italo Ferretti».
POLITICA A OCCHI CHIUSI Ma nonostante tutto questo, la politica e la classe dirigente continuavano a sostenere che l’Abruzzo era un’isola felice. E la commissione spiega così: «L’incontro, all’Aquila, con le organizzazioni degli imprenditori e dei commercianti, si è aperto con manifestazioni di preoccupazione per il solo fatto che la Commissione si fosse recata in Abruzzo, compromettendo così il buon nome di quella regione e delle popolazioni che vi operano. Vi fu addirittura chi spiegò che l’arrivo di una ambulanza in un condominio è sempre segnale di disgrazia; e il paragone era certamente poco lusinghiero». Anche la politica voleva tracciare i contorni di una regione tranquilla e al riparo dalla mafia, un’isola felice, e per la Commissione antimafia del 1994 non era affatto una novità «perché già nel 1992, quando nel Consiglio regionale era stato proposto di invitare la Commissione parlamentare antimafia (quella della precedente legislatura), la mozione fu bocciata con l’argomento che sarebbe stato negativo dare all’intero paese l’impressione che l’Abruzzo fosse una regione a rischio».
C’ERA PRIMA E C’È OGGI Personaggio chiave di quegli anni criminali è Massimo Ballone, un curriculum giudiziario unico: «Il più intelligente di tutti», così lo racconta Cosentino. Ballone ha iniziato la sua carriera criminale per prendersi quello che la vita nel quartiere San Donato di Pescara, fino a quel momento, gli aveva negato: il potere dei soldi. Ha cominciato con la Banda Battestini, rapine, tre evasioni dal carcere, assalti ai portavalori. Poi, la redenzione: la laurea in carcere e un romanzo, “Al di sotto del cuore”, che è il manifesto di un bandito che non vuole uccidere. Ma poi Ballone ci è ricascato: recentemente è stato condannato, a Reggio Calabria, a una pena di 18 anni di carcere per gli affari con le cosche e per traffico internazionale di droga. Secondo l’accusa, Ballone era l’uomo di fiducia dei clan in Abruzzo: teneva la cassa e smistava i carichi di cocaina. «Al pentimento di Ballone non ci ho mai creduto», confida Cosentino.
Le riprese e il montaggio delle interviste sono di Giuliano Vernaschi, regia di Danilo Cinquino e Antonio D’Ottavio.