La protesta dei manganelli in piazza le donne del porto

Madri e mogli dei pescatori stanche delle promesse delle istituzioni «Manifestare è inutile, siamo pronte alla sommossa sotto la Prefettura»

PESCARA. «Siamo alla rovina. A dicembre dobbiamo pagare l’Imu, ma dove li dobbiamo prendere questi soldi? Adesso sa che cosa facciamo? Una sommossa popolare, tutte donne, andiamo con i manganelli sotto al palazzo della Prefettura. Voglio proprio vedere che cosa ci rispondono quelli là». E’ la forza della disperazione di Marina Di Vincenzo, la moglie del pescatore Mimmo Grosso, uno dei più veraci e agguerriti protagonisti della battaglia per ottenere il dragaggio del porto, a incalzare tutte le mogli e le madri dei marinai pescaresi contro i rappresentanti delle istituzioni.

Dopo la rabbia, i blocchi di piazza e le 21 denunce che si sono beccati gli uomini di mare durante l’assalto del maggio 2011 alla Capitaneria di porto, adesso è la volta delle loro signore. Stanche di districarsi tra le bollette da pagare, le rate del mutuo o dell’affitto di casa e il lavoro saltuario ai banchetti del molo per cercare di racimolare qualche euro dalla vendita delle alici, le donne del porto rompono il silenzio ed escono allo scoperto. Lo hanno fatto partecipando in massa al corteo che sabato pomeriggio ha attraversato le strade della città, da via Paolucci a piazza Salotto, reggendo in alto le fiaccole e portando con orgoglio gli striscioni più vistosi. Ma i visi di Marina, Concetta, Levania e delle tante mogli costrette a tenere le redini di un’economia domestica precaria, oggi sono rossi di collera.

Considerano «inutile» anche l’ultima manifestazione con il sindaco di Pescara Luigi Albore Mascia schierato con la fascia tricolore, il presidente della Provincia Guerino Testa e i tanti politici di centrodestra e di centrosinistra. Non ne possono più di vedere i loro uomini ciondolare con le mani in tasca tra la banchina del molo vuota, il piazzale del mercato ittico e dell’associazione armatori e il soggiorno di casa. Minacciano di scendere in piazza con i manganelli, perché i lavoretti alle barche attraccate da 254 giorni alla banchina non si possono posticipare.

Poi ci sono le spese ordinarie: il piatto in tavola, la luce e il gas, l’assicurazione e la manutenzione.

«Se i nostri mariti finora non hanno ottenuto nulla, adesso gli facciamo vedere noi donne di che cosa siamo capaci», annuncia Marina. E si scorge l’animo sanguigno e il dente avvelenato da mille promesse, tutte puntualmente disattese.

«Prima siamo stati penalizzati con i prezzi alle stelle del gasolio, adesso da un anno abbiamo il porto insabbiato e non possiamo andare a pescare», aggiunge con il sorriso amaro sulle labbra e la voce ferma e decisa: «Noi ci arrangiamo come possiamo, andiamo ogni tanto a vendere le alici sul molo. Ma con quei soldi non possiamo mica mantenere la famiglia».

A pensarla così è anche Concetta Agostinone, moglie dello storico pescatore Massimo Camplone e madre di due ragazzi di 20 e 23 anni. «Siamo disperate», ammette a denti stretti, «non sappiamo più che cosa fare e a chi rivolgerci. Sappiamo però che la fiaccolata di sabato scorso è stata solo l’inizio della mobilitazione per chiedere di dragare il porto. Non ci fermeremo qui e anzi invitiamo tutti i cittadini ad appoggiare la nostra battaglia. Perché il porto di Pescara è di tutti».

Ylenia Gifuni

©RIPRODUZIONE RISERVATA