Pescara

L’intervista a Fabio Ciampoli, vincitore del Ciattè d’oro: «Ragazzi, per avere una vita di successo dovete prima fallire»

3 Dicembre 2025

Dalla Formula 1 all’azienda aerospaziale SpaceX di Elon Musk, l’ingegnere pescarese racconta le sue sfide: «Il mio sogno? Immaginare migliaia di persone che vivono e lavorano sul Pianeta rosso»

PESCARA. «Che cosa mi ha spinto a non mollare? È semplice: sono abruzzese, ho la testa dura». Da Pescara allo spazio, senza mai guardarsi indietro. È questa la storia del pescarese Fabio Ciampoli, 52 anni, che dal 2016 ricopre il ruolo di ingegnere aerospaziale nell’azienda SpaceX dell’ imprenditore Elon Musk.

Un traguardo importante, raggiunto dopo anni intensi fatti di «studio, dedizione e perseveranza», racconta Ciampoli al Centro prima di ritirare il Ciattè d’Oro: il riconoscimento assegnato ai pescaresi che, nel corso degli anni, si sono distinti per impegno e passione. La consegna è prevista questa mattina, nel liceo scientifico Leonardo da Vinci: la scuola dove Ciampoli è cresciuto, iniziando a credere che il cielo non fosse un limite, ma un punto di partenza.

Ingegnere Ciampoli, il suo è un sogno che diventa realtà. Ma quali sono gli ostacoli che ha dovuto affrontare ?

«Può sembrare un sogno che si avvera, ma è stato un viaggio lungo e ricco di sfide. Uno degli ostacoli principali è stato proprio la lunghezza del cammino: mi sono sfidato continuamente per crescere dal punto di vista professionale e umano. Ma ho anche avuto la fortuna di avere una moglie, pescarese pure lei, che mi ha sempre supportato».

Quando dice che si è «sfidato», che cosa intende?

«Mi riferisco a quando, ad esempio, ho lasciato una carriera già avviata nel mondo della Formula 1 per unirmi a SpaceX: un’azienda che, solo dieci anni fa, era praticamente sconosciuta in Europa».

E allora mi dica la verità: anche lei fa parte del club dei finti modesti – a cui il successo è capitato “per caso” – oppure già sapeva dove voleva arrivare?

«Ho sempre avuto una visione chiara di dove volevo arrivare, guidata da due passioni che, sin da piccolo, mi hanno accompagnato: gli aerei militari e la Formula 1. Ricordo che, da bambino, passavo ore a guardare le gare con mio padre. Il mio successo, dunque, non è arrivato per caso, ma è stato il risultato di scelte deliberate e, a volte, rischiose».

Ma se lo ricorda il momento esatto in cui è stato assunto?

«Lo ricordo molto bene: ero in macchina, a Londra. Mi sono sentito molto felice per l’opportunità, ma ho provato anche un senso di profonda responsabilità a causa dell’importanza della missione».

Vuole spiegare al Centro il lavoro che, con il resto del team, sta portando avanti?

«Starship è il primo veicolo spaziale – interamente riutilizzabile – mai realizzato: è stato progettato per fare dei viaggi umani interplanetari, rendendoli economici e sostenibili. La navicella può trasportare equipaggi e carichi verso destinazioni lontane, come la Luna e Marte».

E i tempi di realizzazione previsti?

«Speriamo di lanciare i primi veicoli non abitati verso Marte alla fine del 2026: questi voli serviranno come esercitazione per missioni future munite di equipaggio».

Qual è il fine ultimo?

«Rendere il trasporto verso Marte così conveniente e affidabile da consentire lo sviluppo di insediamenti umani sul pianeta: immaginate colonie autosufficienti, con migliaia di persone che vivono e lavorano lì».

Ma che impatto avrà sulla specie umana?

«Credo spetterà agli esseri umani decidere come utilizzare gli strumenti che metteremo a disposizione. Il progetto potrebbe mitigare rischi esistenziali – come catastrofi planetarie – e favorire scoperte scientifiche epocali. È un’opportunità immensa, ma anche una responsabilità condivisa».

Nel suo lavoro, la ricerca della perfezione è quasi inevitabile. È giusto, dunque, condannarla o è proprio il perfezionismo che permette di arrivare così in alto?

«Il mio primo giorno a SpaceX mi hanno detto: “Se sei ingegnoso, creativo e pronto ad improvvisare con ciò che hai, prospererai qui”. Il focus di noi ingegneri, dunque, non è sulla perfezione assoluta – che può paralizzare e consumare risorse – ma sulla risoluzione di problemi in modo pratico ed efficiente. Certo, aspiriamo all’eccellenza, ma è proprio evitando il perfezionismo rigido che arriviamo in alto».

Quali consigli pratici darebbe ai giovani che aspirano a una carriera di successo?

«Ci sono due lezioni fondamentali: la prima è quella di imparare a fallire, perché più è difficile l’obiettivo che ci si prefigge più saranno le occasioni in cui si cadrà. La seconda è questa: per raggiungere obiettivi importanti è necessario lavorare duro, lavorare più degli altri e fare cose che non ci piacciono».

Ogni volta che parte, che prende l’aereo e volta le spalle alla sua città, cosa porterebbe con sé in California?

«In cucina sia io che mia moglie ce la caviamo bene e non ci facciamo mancare i sapori della tradizione: dagli arrosticini ai fiadoni fino ai spaghetti alla chitarra. Ma quello che si cerca sempre – e che non si può sostituire mai – è il nostro mare».