l’ex arcivescovo di pescara-penne nella maxi inchiesta della procura di brescia  

Monsignor Francesco Cuccarese indagato per tentato riciclaggio

PESCARA. C’è anche monsignor Francesco Cuccarese tra gli 85 indagati nella maxi inchiesta con 20 arresti su un’evasione fiscale da 80 milioni di euro con fatture false, coordinata dalla procura di...

PESCARA. C’è anche monsignor Francesco Cuccarese tra gli 85 indagati nella maxi inchiesta con 20 arresti su un’evasione fiscale da 80 milioni di euro con fatture false, coordinata dalla procura di Brescia e portata avanti dalla Finanza. L’ex arcivescovo della diocesi di Pescara-Penne, oggi 90enne, è accusato di tentato riciclaggio per aver provato a favorire l’apertura di un conto corrente allo Ior. «Tentativo bloccato dalla Polizia vaticana» sostiene chi indaga. «Siamo davanti ad una vera e propria officina dell'evasione» dicono gli inquirenti che per un anno hanno seguito ogni movimento di un gruppo capace di emettere fatture false per oltre mezzo miliardo di euro e guadagnare 80 milioni di euro. Complessivamente sono 20 arresti e 85 indagati, tra cui lo stesso monsignore, residenti a Brescia, Bergamo, Mantova, Milano, Roma, Parma, Perugia, Lodi, Modena, Reggio Emilia, Bari, Vicenza, Pavia, Napoli e Verona.
Nell'elenco ci sono imprenditori locali, faccendieri, ma anche professionisti: tre avvocati, uno del Foro di Milano, Roberto Golda Perini, un altro di Bari, Francesco Alimonda e uno di Modena, Alessandro Bitonti, in carcere così come due commercialisti iscritti all'albo di Brescia. «Da questa inchiesta emerge un connubio tra imprenditori e commercialisti con i professionisti che si sono messi a disposizione di progetti criminosi» ha detto il procuratore di Brescia Francesco Prete. «Il connubio tra imprenditori e professionisti», aggiunge Prete, «conferma quanto sia necessario penetrare negli ordini professionali per scovare professionisti infedeli».
Attraverso indebite compensazioni e fatture false, il gruppo portava all’estero milioni di euro che prima finivano sui conti correnti in Croazia, Slovenia e Ungheria e poi venivano riportati in Italia. Nell'indagine sono state determinanti le intercettazioni telefoniche, «che ci hanno permesso di sequestrare fino a due milioni di euro a gente che arrivava all'estero per prelevare il denaro» ha spiegato il pm Claudia Passalacqua, titolare dell'inchiesta.