Morosini, l'infermiere alla Digos"In campo era ancora vivo"

La lunga testimonianza di Marco Di Francesco, l'infermiere della Misericordia che sabato ha partecipato ai soccorsi del calciatore del Livorno: "Per due volte ho ricordato a tutti che c’era il defibrillatore, ma nessuno mi ha dato retta"

PESCARA. «Per due volte ho fatto presente a tutti quelli che stavano a terra che c’era il defibrillatore, ma nessuno mi ha dato retta». È questo il passaggio chiave della testimoninanza resa ieri alla Digos da Marco Di Francesco, l’infermiere della Misericordia che sabato ha partecipato ai soccorsi del povero Morosini. «In campo era vivo» ha detto.

Dichiarazioni su cui la Procura vuole andare a fondo, e anche in fretta, per chiarire se da parte dei medici che hanno fatto il soccorso in campo (nell’ordine il massaggiatore del Pescara, il medico del Livorno che ha coordinato l’intervento, quello del Pescara, il medico del 118 e il primario sceso dagli spalti) ci sia stata l’imperizia o la negligenza che possano far configurare l’omicidio colposo.

Per chiarire i tempi del soccorso e soprattutto se, come dice Marco Di Francesco, «qualche minuto prima che venisse messo in ambulanza, Piermario era ancora vivo». Affermazione su cui la Digos di Laila Di Giulio ha ascoltato per due ore e mezza, ieri, Di Francesco, il quale agli investigatori ha ripetuto quanto già dichiarato in diretta a Rete 8: «Ho sentito il polso carotideo, c’era e lui mi ha sputato più di una volta la cannula». Dunque, ci sarebbe stato un momento in cui si sono riattivati i riflessi faringei, in cui a Morosini è tornato il polso. Ma il defibrillatore in campo, come ripete l’infermiere, non è stato usato.

Medici e defibrillatori.
Per questo la Digos tra ieri e l’altro ieri ha ascoltato, oltre all’infermiere della Misericordia, il professor Leonardo Paloscia, il dottore e il massaggiatore del Pescara Ernesto Sabatini e Claudio D’Arcangelo, e il medico del 118 Vito Molfese. E per questo il pm Valentina D’Agostino ha fatto acquisire alla Digos i due defibrillatori che sarebbero potuti essere utilizzati sul calciatore in arresto cardiaco: quello che un volontario della Croce Rossa si precipita a portare in campo subito dopo il malore del calciatore (come si vede nella sequenza fotografica in alto) e l’altro presente sull’ambulanza del 118 che trasporta il ragazzo in ospedale e che, secondo quanto riferito dai due medici a bordo, Paloscia e Molfese, non è stato usato. Non si tratta di un sequestro penale, ma di un’acquisizione temporanea, per il tempo necessario a un perito di verificare se i due apparecchi salvavita siano stati utilizzati e, anche, se il defibrillatore in campo abbia registrato le voci di chi stava cercando di rianimare il calciatore a terra. Secondo quanto dichiarato da Di Francesco, quel defibrillatore non era attaccato al giocatore ma «era acceso, quindi ha registrato».

Un defibrillatore che Leonardo Paloscia, il direttore dell’unità coronarica che è sceso in campo dalla tribuna, sabato ha dichiarato a caldo di non aver visto e su cui ha riferito alla Digos martedì: «Al momento del malore ero in tribuna come spettatore, in campo sono arrivato che c’era già l’ambulanza, non sapevo se il defibrillatore era già stato utilizzato o no. In ambulanza non l’abbiamo usato perché ci abbiamo messo tre minuti secchi per raggiungere l’ospedale, mi sono preoccupato di allertare il pronto soccorso per la preparazione del defibrillatore. Le abbiamo provate tutte, ma il battito non è mai ripreso, purtroppo».

La procedura.
Ma che cosa prevede la procedura nei casi di arresto cardiaco? La risposta la dà proprio il primario: «Massaggio cardiaco, ventilazione e applicazione delle placche del defibrillatore semiautomatico per vedere che cosa c’è ed erogare o meno la scarica elettrica. Ci si mette un minuto». Ma soprattutto: l’arresto cardiaco va trattato sul posto. Il paradosso è che, come fa presente il direttore del dipartimento Emergenza e accettazione Alberto Albani, direttore anche del pronto soccorso, secondo una convenzione con il Delfino Pescara, la Asl mette a disposizione delle partite della prima squadra cinque ambulanze (una per le giovanili), 40 volontari e sette defibrillatori di cui quattro sugli spalti, due in campo e uno sull’ambulanza medicalizzata con il medico e l’infermiere del 118 che gestiscono l’infermeria. Secondo il protocollo operativo, per i soccorsi sul campo di gioco in prima battuta intervengono i medici delle due società con i barellieri a bordo campo e poi, se la problematica è più importante, interviene su chiamata, via radio, l’equipaggio medicalizzato.

Ma sabato pomeriggio all’Adriatico è andato tutto storto. Perché mentre Piermario Morosini si accascia in campo e vicino a lui si precipitano il massaggiatore del Pescara, il medico del Livorno e quello del Pescara, il medico del 118, che è in infermeria, ci impiega tre minuti e 42 secondi per entrare in campo. Perché quel settore è affidato alla Croce Rossa, ma in quel momento l’ambulanza è chiusa a chiave e l’autista non si trova, e perché una macchina dei vigili urbani chiusa a chiave ostruisce il varco per il campo. Per questo quando il dottor Molfese arriva in campo i soccorsi sono già in corso e soprattutto, come ha riferito agli investigatori, sono gestiti da altri. E i due inviti dell’infermiere a usare il defibrillatore non li sente proprio.
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