la protesta

Pescara, chiude il cementificio: «Venti posti a rischio»

Allarme della Fillea Cgil che chiede l’intervento del ministero: Buzziunicem pronta a rilevare l’azienda, ma senza Pescara

PESCARA. Il cementificio di Pescara avrebbe le ore contate, secondo i sindacati. Ieri, il segretario generale della Fillea Cgil di Pescara Massimo Di Giovanni ha rivelato che la Sacci, proprietaria dello stabilimento di via Raiale, sarebbe intenzionata a cessare definitivamente l’attività produttiva nel capoluogo adriatico.

Un duro colpo per i 20 dipendenti che lavorano ancora all’interno del cementificio di Pescara. Cementificio che aveva già mandato in mobilità una cinquantina di operai il 13 luglio dell’anno scorso. I sindacati di categoria, ossia Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal Uil, hanno indetto lo stato di agitazione in tutti i siti produttivi della Sacci e hanno richiesto l’apertura di un tavolo a livello nazionale con il ministero dell’Industria e dello sviluppo economico con la speranza di poter salvare i posti di lavoro rimasti.

La situazione è precipitata il 13 marzo scorso, dopo otto mesi dalla procedura di riduzione del personale che ha comportato il licenziamento di 50 lavoratori a Pescara. La Sacci avrebbe comunicato alle organizzazioni sindacali nazionali e provinciali l’intenzione di chiudere definitivamente il cementificio di Pescara, dove lavorano attualmente 20 persone, tra impiegati e operai. «Se il progetto della Sacci si attuerà», spiega Di Giovanni, «il numero dei posti persi salirà a 80, più l’indotto, per un totale di 120 lavoratori». «La riduzione complessiva, con questa nuova procedura», aggiunge il segretario, «riguarderà 135 lavoratori a livello di gruppo, con la chiusura definitiva degli stabilimenti di Pescara e Macerata e la riduzione della sede di Roma».

I sindacati sono, ovviamente, contrari all’attuazione di questo piano. Ed è ciò che hanno fatto presente nell’incontro con la direzione nazionale della Sacci che si è tenuto nella sede dell’Unindustria, ossia l’Unione degli industriali di Roma, il primo aprile scorso. «Abbiamo ribadito», fa presente Di Giovanni, «la non condivisione del piano e delle motivazioni addotte dalla Sacci, chiedendo il ritiro della procedura, anche e soprattutto, in considerazione delle possibili evoluzioni societarie».

Le organizzazioni di categoria sperano, a questo punto, nell’offerta arrivata dal colosso della Buzziunicem, pronta ad acquistare il 99,5 per cento delle quote societarie della Sacci spa. Ma è proprio questa offerta che ha fatto nascere dei sospetti tra i sindacati. «Il 18 marzo scorso», osserva Di Giovanni, «a soli 5 giorni dall’attivazione della procedura di mobilità, con l’annuncio della cessazione delle attività degli stabilimenti di Pescara e Macerata, è arrivata l’offerta di acquisto da parte di Buzziunicem, società quotata in Borsa e secondo gruppo industriale produttore nazionale di cemento in Italia». Il sospetto dei sindacati è quello che la Sacci abbia proceduto a una ripulitura eliminando gli stabilimenti meno produttivi, tra cui quello di Pescara, per essere più appetibile alla pretendente. «Per questo», precisa il segretario Fillea, «riteniamo che la vertenza Sacci sia di fondamentale importanza in relazione alle dinamiche societarie e di mercato di tutto il settore del cemento in Italia».

Ora, i sindacati cercano di coinvolgere nella vertenza gli assessorati alle attività produttive e del lavoro regionali, nonché il ministero, per evitare la chiusura degli stabilimenti.

Se quello di Pescara dovesse cessare veramente, si presenterà il problema della messa in sicurezza e della bonifica del sito industriale.

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