Pescara, revocato il sequestro del Caffè Venezia

Il tribunale del Riesame accoglie per la seconda volta il ricorso della difesa

PESCARA. «Evasori fiscali di grosso rilievo», forse. Di sicuro, non terminali di denaro sporco. Dieci pagine di motivazioni per ribadire, per la seconda volta in pochi mesi, che le basi economiche del Caffè Venezia non sono legate a doppio filo al clan pugliese dei Romito e che i reati di riciclaggio e reimpiego di denaro di provenienza delittuosa non hanno ragion d'essere. Il tribunale del Riesame, presieduto da Massimo De Cesare (Sergio Casarella e Gianluca Falco a latere) non si discosta dalle conclusioni del precedente collegio guidato da Antonella Di Carlo.

Così, fa proprie le tesi dell'avvocato difensore Giuseppe Cantagallo e revoca il sequestro preventivo dei beni disposto dal gip lo scorso settembre, restituendoli agli imprenditori di Manfredonia. Nel dettaglio, le quote societarie dei locali (bar, pub, pizzeria e pasticceria) di via Venezia e viale Regina Margherita, dell'Università della pizza di piazza Martiri Pennesi, della Ad Maiora di via Ravenna, della Granatiero Ristorazione di viale dei Pini, del locale Piano Terra di corso Manthonè, della Positano srl di viale Bovio, oltre a conti correnti societari e personali. Con la stessa ordinanza, il tribunale ha revocato l'incarico di amministratore giudiziario a Saverio Mancinelli.

La palla torna a rimbalzare ora nella metà di campo del pm Gennaro Varone, il cui ricorso in Cassazione aveva portato il 14 febbraio all'annullamento del verdetto del primo Riesame. Probabile un nuovo richiamo alla Corte suprema. Secondo il Riesame bis, «la formale cessione di due attività commerciali a Manfredonia dai Granatiero ai Romito esclude decisamente che i primi possano essere considerati i prestanome dei secondi».

Il fatto poi «che il debito per il mutuo erogato dalla banca e le altre garanzie siano rimaste a carico dei Granatiero, nonostante la vendita, oltre a dimostrare l'insussistenza di passaggi di denaro, rende verosimile la tesi della difesa, secondo cui quella cessione sarebbe stata più che altro "imposta" ai Granatiero, e avvalora un'interpretazione dell'intercettazione ambientale effettuata il 15 dicembre 2008, quando Sebastiano Granatiero sostiene di "avanzare" ancora 40 mila euro (importo che è pari al residuo mutuo rimasto a carico di Granatiero dopo la cessione delle quote della società Frullati di Frutta) da Michele Romito, nel senso che il Granatiero stesso ne sia creditore e non sodale».

In ogni caso, ritiene il tribunale, «qualunque sia la ricostruzione di quel rapporto commerciale, non vi è alcun elemento che provi la provenienza delittuosa del denaro che è stato impiegato». Il Riesame scende ancora più nel merito e cita l'intercettazione del 2 aprile 2009 per «avvalorare il risentimento degli indagati verso i Romito, probabilmente per le vessazioni subìte nel tempo». Una donna giovane, conversando con Sebastiano Granatiero, gli dice: «Ma tu hai fatto qualche telefonata per caso a quelli?». La replica: «Ma non esiste proprio...ma chi c...li conosce?». Interviene la madre, Anna Grieco: «Ma è vero che sono andati lì al bar Centrale?». Sebastiano conferma e la madre gli fa: «Questi Romito, eh...siamo sempre punto e a capo».

Aggiungono i giudici: «Nei successivi 8 anni, non vi è indizio di altro rapporto e le indagini non ne documentano affatto, se non per via indiretta e meramente presuntiva». Il riferimento è a un viaggio di Granatiero a Manfredonia, dove avrebbe parcheggiato l'auto intercettata dagli investigatori nelle vicinanze del bar gestito da Michele Romito e ricevuto da lui 35 mila euro, poi versati in contanti sui conti delle sue società pescaresi. In realtà, spiega il Riesame accogliendo le tesi della difesa, l'imprenditore gestisce un lido a Manfredonia e dunque «è del tutto illogico desumerne con certezza l'incontro con Romito e la consegna dei soldi». (g.p.c.)

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