Picchiata e violentata: 5 anni e mezzo di carcere 

Condannato il marocchino responsabile dell’aggressione davanti alla Caritas Il pm aveva chiesto 8 anni, la difesa annuncia ricorso in appello: «Non è stato lui» 

PESCARA. Cinque anni e sei mesi di reclusione con l’espulsione dal territorio nazionale, una volta scontata la pena. E’ questa la sentenza che il tribunale di Pescara (presidente Maria Michela Di Fine) ha inflitto al marocchino Ilyas Oujib per le accuse che gli erano state contestate di violenza sessuale e lesioni personali, nei confronti di una ucraina con la quale coabitava, insieme ad altre persone, in un rudere fatiscente di fronte alla Caritas di via Alento, che fu teatro della violenza. Un brutale episodio che si verificò la notte tra il 5 e il 6 marzo scorsi, in un contesto di degrado assoluto, in un luogo che i senzatetto della zona avevano scelto come ricovero notturno, nonostante le pessime condizioni di quella casa diroccata. Al culmine di una serata durante la quale il gruppo aveva bevuto e fumato canne, l’imputato, conosciuto anche con il nome di “Armadio” per la sua stazza e la sua corporatura possente, avrebbe approfittato dell’assenza di tutti i coinquilini (che si erano allontanati proprio per le intemperanze dell’uomo che aveva iniziato a picchiare tutti) e cercato di avere un rapporto sessuale con la parte offesa, una ucraina di 50 anni, che venne picchiata selvaggiamente con violenti pugni sulla testa fino a farle perdere i sensi. Il giorno seguente il marocchino venne fermato dai carabinieri e arrestato, alla luce delle dichiarazioni che la vittima fece agli investigatori e anche alla luce di quanto riferì, nell’immediatezza dei fatti, il teste chiave del processo, l’albanese Osman Tufa, anche se poi in dibattimento ha cercato di addolcire la sua deposizione addirittura sostenendo che la vittima aveva infastidito sessualmente “Armadio”. «Ma quale motivo avrebbe avuto la vittima», ha detto il pm Marina Tommolini, «per accusare il suo coinquilino? L’imputato era noto a tutti per essere pericoloso e aggressivo e lo dimostra anche la parziale ritrattazione di Tufa. Tutti temevano questa persona. La stanza dove si verificò la violenza era completamente distrutta e questo trova conferma nelle dichiarazioni della donna». La vittima venne gettata sul letto, presa a pugni per la sua resistenza e lasciata in una pozza di sangue, così come venne ritrovata il mattino seguente proprio da Tufa e dalla sua compagna, che ieri i carabinieri non sono riusciti a rintracciare per farla testimoniare.
«La parte offesa merita piena attendibilità», ha detto l’accusa, «E’ una donna che fa uso di alcol, che vive in una situazione di forte disagio economico e sociale, ma non per questo non deve essere credibile». E ha concluso la sua requisitoria chiedendo la condanna a 8 anni di reclusione, senza le generiche, per Oujib. La difesa, sostenuta dall’avvocato Claudio Croce, ha invece cercato di minare la credibilità della vittima, sfruttando soprattutto la ritrattazione del teste chiave che raccolse per primo le sue dichiarazioni e la ricostruzione di quanto accaduto. Puntando anche su quanto ieri ha detto in aula l’imputato, che ha dato una ricostruzione dei fatti completamente diversa, sostenendo che a colpire la donna sarebbe stato il suo compagno (sparito da quella notte), ingelosito dal fatto che la vittima quella sera gli avrebbe curato delle ferite che si era procurato entrando in casa, in maniera provocante. Versione che non ha fatto breccia nel collegio che lo ritenuto colpevole di entrambi i reati contestati, anche se gli ha riconosciuto le attenuanti generiche. La difesa ha annunciato ricorso in appello.