Rigopiano, Matrone accusa: «Lo Stato ci ha dimenticati» 

Il sopravvissuto alla valanga del 18 gennaio 2017 in cui morirono 29 persone: «Dopo tre anni e mezzo, non abbiamo ricevuto né giustizia né indennizzi» 

FARINDOLA. «Rigopiano dimenticato: in tre anni e mezzo non abbiamo ricevuto né giustizia né indennizzi». È l’amaro sfogo di Giampaolo Matrone, il superstite della valanga del 18 gennaio 2017 il quale, tra quei 29 morti ha perso la moglie Valentina. Ed è rimasto lui stesso invalido. In una nota piena di delusione e rabbia, Matrone denuncia «la latitanza delle istituzioni su questa tragedia di Stato».
«Su Rigopiano è tutto fermo», ribadisce il pasticciere 36enne di Monterotondo, che nel resort di Farindola sepolto dalla valanga ha passato 62 ore, uscendone con gravi postumi invalidanti. «È inconcepibile», incalza, «che in tre anni e mezzo lo Stato, che pure è chiamato in causa a più livelli su questa vicenda, non abbia dato una sola risposta ai familiari delle vittime e ai sopravvissuti».
Il riferimento è anche, ma non solo, al risarcimento che, come fa presente il suo ufficio legale Studio 3A-Valore che assiste Matrone con l’avvocato Andrea Piccoli del foro di Treviso, «non è certo un capriccio per Matrone il quale, con una gamba e un braccio quasi inservibili, la sua attività artigianale non può più svolgerla e deve tirare su, facendogli anche da mamma, la figlia Gaia, che ha solo nove anni. Eppure, nel decreto Semplificazioni varato dall’allora governo giallo-verde nel febbraio del 2019», ricorda l’ufficio legale, «erano stati stanziati dieci milioni di euro per gli indennizzi, e lo scorso autunno Palazzo Chigi aveva istituito una commissione tecnica ad hoc, con il coinvolgimento dei sindaci dei comuni di residenza delle vittime, per individuare i destinatari di questi fondi».
«Ma l’iter non si sblocca», denuncia Matrone, «Dovremo arrivare al punto di incatenarci sotto qualche palazzo governativo per far valere i nostri diritti?» chiede Matrone al quale, oltre a quella economica, manca soprattutto l’attesa risposta da parte della giustizia.
E ricordando come «già prima il procedimento penale avanzava a rilento», il 36enne fa presente che «adesso con il lockdown per l’emergenza coronavirus si è arenato tutto per mesi. Siamo fermi all’udienza del 31 gennaio e ci troviamo ancora nella fase di costituzione delle parti».
Il processo era stato rinviato al 27 marzo per l’udienza in cui si sarebbe dovuto iniziare a entrare nel merito, ma a causa della pandemia si è bloccato tutto. Un mese fa, è stato notificato il nuovo rinvio al 10 luglio, ma resta un grosso punto di domanda “logistico” perché nell’aula del Tribunale di Pescara dove finora è stato celebrato il processo, e dov’è tuttora calendarizzata anche la prossima udienza, con tutte le parti coinvolte, allo stato sarebbe impossibile rispettare le norme di distanziamento sociale: tra imputati, 25, e parti civili, i soggetti che possono partecipare sono 139, a cui vanno aggiunti i rispettivi legali. L’ultima ipotesi è la celebrazione del processo in un palasport di Pescara, comunque non prima dell’autunno. E serve comunque l’autorizzazione del ministero. (a.s.)
©RIPRODUZIONE RISERVATA.