L'interno del resort di Rigopiano dove sono morte 29 persone il 18 gennaio 2017

PESCARA

Rigopiano, quattro errori risultati fatali 

I carabinieri-forestali attribuiscono presunte responsabilità a sindaco, prefettura e Provincia. E al mancato avviso a D’Alfonso. Da domani gli ultimi interrogatori

PESCARA. Se quattro difetti di comunicazioni, tra di loro concatenati, si verificano durante una grande emergenza il risultato può essere una strage. Come quella del resort di Rigopiano. Con molta cautela, accompagnata però da indizi circostanziati, i Carabinieri forestali, delegati dalla Procura di Pescara, arrivano a questa conclusione in un rapporto di 28 pagine.
Il Centro è venuto in possesso di questo atto alla vigilia degli interrogatori di 14 indagati, gli ultimi che precedono la conclusione dell’inchiesta.

Ilario Lacchetta, sindaco di Farindola
CHI SAPEVA. «Sia il presidente della Provincia che gli uffici della prefettura di Pescara e il sindaco di Farindola erano a conoscenza dell'isolamento dell'hotel e che i clienti, alcuni con vere e proprie crisi di panico, lo volevano abbandonare», scrivono gli investigatori, «ma la problematica dell’isolamento dell'hotel non è stata discussa al Core (Comitato operativo regionale per l’emergenza, ndr) del 18 gennaio 2017 perché tale informazione non è stata portata all'attenzione del Presidente della Regione Abruzzo dalle persone che ne erano a conoscenza».
LE DOMANDE. E’ su questa frase, riportata nella relazione conclusiva dei Carabinieri forestali, che si sviluppa una complessa attività di indagine. Chi era a conoscenza della situazione delle persone rimaste prigioniere nel resort della morte nelle ore che hanno preceduto la valanga? Chi doveva avvisare il Core? E chi infine poteva farlo ma in realtà non lo fece? Le risposte sono nel rapporto finale.

Luciano D'Alfonso
PRIMO ANELLO MANCANTE. «Alle 12,59 dei 18 gennaio 2017, il sindaco di Farindola invia un sms multiplo ai i nominativi Antonio Di Marco, Luciano D'Alfonso, Paolo D'Incecco e Mario Mazzocca», è il primo passaggio chiave del relazione. Che cosa scrive Ilario Lacchetta ai presidenti di Regione e Provincia, al sottosegretario della giunta e al dirigente D'Incecco, tutti indagati nell'inchiesta sui 29 morti?
Il suo messaggio è questo: «Siamo in difficoltà, abbiamo bisogno di aiuto. Tutto il territorio e senza energia elettrica e telefonica. Tutte le contrade, sopra ai 500 m, sono completamente isolate, ci sono bambini e anziani. Ho bisogno di mezzi adatti per questa neve e di uomini. Per favore fate presto».
Era un appello disperato quello del giovane sindaco ma, secondo gli investigatori, non era sufficiente ad allertare le autorità competenti. «Nessun accenno all'isolamento dell'hotel», si legge nella relazione finale, «la richiesta generica “di mezzi adatti per questa neve” non poteva avere una priorità rispetto alle centinaia di identiche segnalazioni effettuate da altri sindaci e normali cittadini di tutta la regione che sono arrivate presso la sala operativa regionale».
Così i Carabinieri forestali concludono che: «Sicuramente la sala operativa regionale avrebbe dato un diverso grado di priorità, valutando il rischio di perdita di vite umane, se il sindaco avesse segnalato l'isolamento dell'hotel con 40 persone bloccate in una zona montana a rischio valanghe».
IL SECONDO ANELLO. Ma ci sarebbe anche un secondo fatale difetto di comunicazione.
A pagina 25 del rapporto si legge che: «Alle 16,22 del 18 gennaio 2017 l’assessore Cutracci del Comune di Farindola, su ordine del sindaco Lacchetta, invia una mail alla prefettura di Pescara e al Dipartimento della Protezione civile Abruzzo, in cui segnala disagi per la popolazione a causa della mancanza di energia elettrica e l'isolamento delle contrade, e chiede al prefetto Francesco Provolo di valutare la possibilità di inviare l'esercito».
«Ma anche in questa mail», affermano gli investigatori, «non c’è alcun accenno all'isolamento dell'hotel».
IL TERZO DIFETTO. E’ quello riportato a pagina 26.
Bruno Di Tommaso, amministratore unico della Gran Sasso Resort, lancia l’allarme a diversi enti con una Pec «segnalando l'isolamento dell'hotel sommerso da 2 metri di neve e che clienti volevano lasciare la struttura perché terrorizzati dalle scosse di terremoto. Ma la decisione di Di Tommaso di utilizzare una Pec per una richiesta di aiuto», scrivono gli investigatori, «risulta inefficace». La Pec infatti viene inviata alla casella postale presidente@pec.regione.abruzzo. it alle 13,57 di quel giorno maledetto «ma purtroppo è visionata solo il giorno 23 gennaio dalla segreteria della Presidenza perché il prefetto dell'Aquila aveva disposto la chiusura degli uffici pubblici fino al 19 gennaio. Una semplice telefonata avrebbe potuto essere più funzionale», scrivono i Carabinieri forestali.
LORO SÌ. La stessa Pec arriva alla Provincia alle 13, 04 e viene protocollata, così come giunge in Prefettura alle 13,40 ma viene girata alla mail della Protezione civile solo alle 17,03. Sarebbero questi due indizi a portano gli investigatori alla conclusione che il presidente della Provincia e gli uffici della prefettura erano al corrente del dramma di ospiti e dipendenti del resort. Ma c'è anche un quarto difetto di comunicazione. Forse il più grave.
ULTIMO APPELLO. I Carabinieri forestali riportano nella relazione anche un messaggio disperato di Roberto Del Rosso, dipendente dell'hotel deceduto nel crollo, con cui viene segnalata la criticità in corso al sindaco di Farindola.
Alle 13,59 del 18 gennaio, Del Rosso scrive: «Vorrei capire la reale situazione, ne ho il diritto visto che i lavoratori mi fanno domande. La struttura non ha problemi ma è difficile contenere lo stato d'animo di tutti. I clienti con il nostro aiuto hanno disposto le macchine sulla strada parcheggio in fila indiana. Ditemi la verità perché non possono essere presi in giro. Qualcuno ha già avuto attacchi di panico». Questo messaggio giunge anche alla sorella di Del Rosso che – sottolineano gli investigatori – «lo legge direttamente al presidente della Provincia prima che si recasse al Core».

Il procuratore Massimiliano Serpi

CHI ACCUSA. I Carabinieri forestali attribuiscono le presunte colpe a Lacchetta, Di Marco e alla prefettura.
Sono i legali del sindaco di Farindola invece a denunciare D’Alfonso scrivendo che il presidente della Regione ha presieduto il Core senza disporre delle schede di evento predisposte dalla Sala operativa e omettendone di richiederne la trasmissione. «Anche se rispondesse al vero», si legge invece nel rapporto, «comunque nessuna scheda di intervento era stata aperta su Rigopiano perché Lacchetta non aveva provveduto a segnalare nulla in merito». Arriviamo così alla conclusione.
L’EFFETTO FINALE. La sintesi del rapporto degli investigatori è nella frase conclusiva: «Probabilmente se durante il Core, in cui erano presenti anche il prefetto Provolo e il presidente D'Alfonso, l'informazione dell'isolamento dell'hotel fosse stata messa in correlazione con il rischio valanghe gravante sulla zona, l'emergenza Rigopiano avrebbe avuto una priorità maggiore con la possibilità di richiedere, dato l'imminente pericolo, anche mezzi aerei per effettuare un’evacuazione della struttura».
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