Gabriele D'Angelo, una delle 29 vittime della valanga all'hotel Rigopiano

PESCARA

Rigopiano, tre carabinieri indagati per depistaggio

Un'altra inchiesta gira attorno alle chiamate di aiuto del cameriere Gabriele D'Angelo, morto sotto la valanga. L'avvocato Passamonti: telefonata fu a prefettura

PESCARA. Sono stati interrogati dai pubbli ministeri di Pescara, Anna Rita Mantini e Salvatore Campochiaro, i tre indagati nella nuova inchiesta sulla tragedia di Rigopiano: il tenente colonnello dei carabinieri forestali, Annamaria Angelozzi, e i sottufficiali Michele Brunozzi e Carmen Marianacci. Nei giorni scorsi, sono state fatte anche una serie di perquisizioni da parte della guardia di finanza negli uffici dei carabinieri forestali.

Si tratta di una ulteriore inchiesta che gira intorno alle vicende relative alla telefonata che il cameriere Gabriele D'Angelo, morto sotto la valanga, avrebbe fatto nella mattinata del 18 gennaio 2017 per chiedere lo sgombero del resort: secondo una denuncia presentata dall'ex capo della Mobile, al tempo della tragedia, Piefrancesco Muriana, lo scorso 21 novembre, ci sarebbero incongruenze tra le acquisizioni dei tabulati e i tempi delle indagini condotte dai carabinieri forestali.

I tre militari sono indagati per falso materiale e falso ideologico. Il falso materiale riguarderebbe la mancanza di un timbro nell'allegato nel quale un agente di polizia, presente al Coc di Penne, avrebbe segnalato l'avvenuta telefonata di D'Angelo al mattino per chiedere l'evacuazione dell'hotel, documento che la squadra mobile acquisì e girò ai carabinieri. Il falso materiale invece si riferisce a una nota inviata dai carabinieri il 12 novembre 2018 dove si parlerebbe di questa telefonata già dal 27 gennaio 2017: i carabinieri avrebbero erroneamente scritto che questa annotazione era stata inviata alla procura.

 Rilievi subito rigettati da uno dei tre indagati nella nuova inchiesta per depistaggio. «Sia nell'allegato cartaceo in possesso dei carabinieri forestali sia nel documento allegato alla Pec a loro inviata il famoso timbro non c'è: quindi il falso materiale non esiste. E per quanto riguarda il falso ideologico, cioè l'aver dichiarato nella nota del 12 novembre 2018 che quella annotazione di Crosta era già stata inviata in procura, oltre a essersi corretti successivamente, per mero errore, c'è da ribadire che per i carabinieri quelle carte dovevano essere già state inviate in procura, ma dalla Mobile». È quanto afferma il difensore del maresciallo Brunozzi, l'avvocatessa Monica Passamonti, dopo che il militare è stato sentito dai pm di Pescara assieme agli altri due colleghi indagati nella nuova indagine sulla tragedia di Rigopiano. «Nella denuncia per falso ideologico»  spiega il legale «si contesta che nella relazione i carabinieri forestali abbiano scritto che quella annotazione era già in procura, ma ci si dimentica che su quel fronte la delega a quel tipo di indagini non ce l'avevano i carabinieri, ma la Mobile. Doveva essere la polizia a indirizzare quella nota. E sono stati i carabinieri a scoprire successivamente che la telefonata di D'Angelo non era arrivata al Coc di Penne, ma a un amico della Croce Rossa al quale chiede il numero della prefettura. Se D'Angelo ha parlato con la prefettura, visto che gli fu dato il telefono del centralino, chi doveva indagarlo? Sono le intercettazioni successive che rivelano i depistaggi, mentre si ritiene evidentemente importante la telefonata di D'Angelo perché potrebbe essere la prima telefonata con richiesta di aiuto: e questo anticiperebbe le date. Solo che c'è un piccolo particolare che si dimentica: che sono state le indagini dei carabinieri a dimostrare che semmai D'Angelo la telefonata la fa alla prefettura e non al Coc di Penne, che non era competente a ricevere la sua telefonata».