Tangenti al Comune di Pescara: il pg chiede di assolvere D'Alfonso

Il procuratore generale della corte d'appello dell'Aquila ha chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati tranne che per Dezio, per cui è stata chiesta una condanna di 2 anni e 6 mesi. La sentenza non prima del 30 marzo

PESCARA. Conferma della sentenza dell'11 febbraio 2013: non procedere per alcuni reati ormai estinti per il governatore dell'Abruzzo, Luciano D'Alfonso, e gli altri imputati per le tangenti a Pescara. È quanto ha chiesto il procuratore della Corte d'Appello dell'Aquila, Ettore Picardi, al termine della requisitoria al processo in corso in Corte d'Appello all'Aquila. Picardi ha chiesto la condanna solo per tentata concussione del dirigente del comune di Pescara, Guido Dezio, all'epoca braccio destro dell'attuale presidente della regione. Per lui chiesti 2 anni e 6 mesi.

La Procura parlando del reato di associazione per delinquere per il quale ha chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati, ha contestato le conclusioni della procura di Pescara parlando di «fatti scollegati tra di loro, non c'era nessun modus operandi deliberato», dando ragione così a gran parte della sentenza emessa nel 2013 dal tribunale di Pescara presieduto dal giudice Antonella Di Carlo. Bisognerà aspettare almeno fino al 30 marzo per conoscere la sentenza. E' già stata fissata un'altra udienza per quella data e potrebbero esserci controdeduzioni.

La sentenza di primo grado aveva decretato la fine dell’inchiesta sull'intreccio tra imprenditori e politici all’ombra delle tangenti facendo uscire immacolato non solo D’Alfonso, ma anche gli altri 23 finiti in una delle prime grandi inchieste della procura pescarese: nel febbraio 2013 D’Alfonso e gli altri, tra cui il suo ex braccio destro Guido Dezio - oggi dirigente del Comune - e gli imprenditori Carlo e Alfonso Toto erano stati assolti dal collegio presieduto da Antonella Di Carlo nell’aula strapiena che sottolineò la maxi assoluzione con un applauso, mentre il pm Gennaro Varone sfilava via dalla maxi aula 1, quella nata per ospitare i grandi processi. Le difese sono già agguerrite e sono pronte a parlare già nella prima udienza di oggi in cui depositeranno una memoria di circa 600 pagine. Ma prima degli avvocati, spetterà al procuratore generale raccogliere il testimone del pm Varone, autore di un appello rabbioso in cui è tornato a chiedere la condanna di D'Alfonso e di altre 17 persone.

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«Tutto il processo gronda di richieste di denaro, di torbidità delle condotte amministrative e di deliberata opacità di quelle personali», aveva scritto nell'appello Varone ribadendo, dal suo punto di vista, quelli che erano stati i grandi temi del primo maxi processo pescarese: il rapporto tra D’Alfonso e l'imprenditore Toto, i conti dell’allora sindaco e la famiglia chioccia, la villa di Lettomanoppello e le presunte tangenti.

Accuse che però si sono sfaldate nella sentenza di primo grado che invece ha accolto le tesi degli avvocati dei big, da Giuliano Milia per D'Alfonso ad Augusto La Morgia per Toto: nell’inchiesta non c'era stata alcuna tangente e il legame tra D'Alfonso e Toto era solo quello di una lunga amicizia. Il processo in appello non si esaurirà nell’udienza di oggi perché è probabile che per arrivare alla sentenza bis ci vorranno un paio di udienze.

Un nuovo verdetto che, comunque, dovrà tenere presente del tempo trascorso e di una nuova sentenza che arriva a distanza di due anni dal primo grado portandosi dietro parecchie prescrizioni. Sarebbero già prescritti quasi dieci episodi di corruzione, sei di truffa, spazzati via gli abusi e la turbativa d’asta mentre, ad esempio, resta in piedi la tentata concussione che chiama in causa D’Alfonso e il suo ex braccio destro Dezio e il sospetto di una presunta tangente da 20mila euro insieme, ad esempio, ai reati di associazione per delinquere, i falsi e alcuni episodi di peculato. Il pm Varone ha appellato 18 posizioni e, da questa mattina, sarà di nuovo scontro tra accusa e difesa.

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