Tripudio a San Demetrio per il ritorno degli alpini

Bandiere al vento per accogliere i gruppi che portarono gli aiuti nel post-sisma «Mettiamo da parte i ricordi di sei anni fa, adesso siamo qui per festeggiare»

SAN DEMETRIO NE’ VESTINI. «Bersagliere ha cento penne, ma l'alpin ne ha una sola, un po' più lunga, un po' più mora, sol l'alpin la può portare...Quando scende la notte bruna tutti dormon nella pieve, ma con la faccia dentro la neve, sol l'alpin non può dormir...».

Sale alto il canto degli alpini. Un coro di voci allegre illumina il silenzio della notte. La festa in paese è iniziata, mentre continuano ad arrivare gruppi di penne nere. Da Udine, Treviso, Bergamo. Un tripudio di bandiere al vento li accoglie. E' appena giovedì sera, mancano tre giorni alla grande sfilata, ma l'atmosfera è già calda, tra tende da allestire, brindisi e abbracci. Volti vecchi e nuovi, sguardi che si ritrovano a distanza di sei anni dal terremoto. La commozione prende il sopravvento nel nome del ricordo, della tragedia passata, della speranza nel futuro. «Sono stato qui per tre volte dopo il sisma a Paganica, Fossa e Onna», dice Bruno Ligutti, alpino di branco. Viene da Udine, come il resto del gruppo: «A San Demetrio abbiamo lavorato alla sistemazione della via Crucis». Alza lo sguardo verso la collina che sovrasta il paese. Una fila di icone segna il percorso delle stazioni di Cristo. «Non dimenticherò mai quello che ho visto», dice, «gli occhi della gente, lo smarrimento, la paura. Portare un piccolo sollievo nel momento della sofferenza è la più grande gioia che si può vivere. Siamo vicini a questa terra, oggi come sei anni fa. E orgogliosi di sfilare all'Aquila per l'88esima adunata». I ricordi lasciano il posto alla voglia di far rivirere il paese: «Ma adesso siamo qui per festeggiare», dice. E alza il bicchiere in alto per un brindisi: «Alla salute!». Anche Giovanni Comuzio arriva da Udine. Uno dei tanti ex alpini, con il berretto ben saldo sulla testa: «Sono stato solo un giorno all'Aquila, nella caserma Rossi, durante il servizio di leva», ricorda, «poi, il trasferimento a Teramo, ma questa città mi è rimasta nel cuore». Dal cortile della scuola elementare spunta un gruppo di alpini. Sono appena arrivati da Udine. Non si perdono un raduno: hanno al seguito sacchi a pelo, tendoni e ogni sorta di vettovaglie: «Tutto ciò che occorre a un buon alpino», afferma Adriano Plaino. Anche lui non è nuovo di queste parti. «Siamo qui per rinsaldare il legame tra L'Aquila e il Friuli. Viva questa bella città». Fervono i preparativi per l'allestimento degli alloggi. Celeste Scardansan è di Belluno. Dopo il 6 aprile è sceso all'Aquila per prestare soccorso alla popolazione terremotata. «Ho visto il dolore negli occhi della gente del posto, ma anche tanta dignità. Un sentimento che contraddistingue l'Abruzzo forte e gentile». Giovanni Nadal viene da Ponte di Piave, al seguito di un gruppo di amici alpini che conosce bene San Demetrio. «Questa penna è il nostro simbolo», dice con orgoglio mostrando il cappello verde a un gruppo di bimbi incuriositi. Fa vedere loro cimeli e spillette, e cattura subito l'attenzione generale mentre tutt'intorno esplode l'allegria. Ancora canti e balli improvvisati fino a tarda notte, nelle sette ville del paese. Un tripudio collettivo tra bancarelle, esposizioni all'aperto e gli immancabili striscioni di benvenuto. La mattina del venerdì la festa riprende all'alba con l'alzabandiera davanti alla «Casetta dell'alpino», la celebrazione della Messa nella cappella del paese, ricostruita dopo il terremoto, e la sfilata lungo le vie del centro, fino al Monumento per deporre una corona in onore dei Caduti. Ancora trombe, ancora bandiere issate come vessilli che onorano la Patria tanto amata. Mentre viene intonato «Il Silenzio», qualcuno tra la folla si commuove. Spunta la foto incorniciata di un alpino che non c'è più, strappato troppo presto alla vita. Il nipotino, un anno appena, indossa il cappello del nonno, che lo guarda da lassù. E che, certamente, ne è fiero. Come ogni buon alpino.

Monica Pelliccione

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