Ucciso da radiazioni e linfoma ma niente risarcimento per il miltare pescarese morto
Il giudice respinge il ricorso della vedova di un militare dell’Aeronautica morto dopo 40 anni di servizio al centro radar
PESCARA. Ucciso dagli effetti micidiali, pur se ad andamento lento, dei campi elettromagnetici, oppure, molto più semplicemente, vittima di un passato da fumatore e della trasformazione in tumore del virus dell’epatite C? Davanti a una vita che sfuma e a un quesito che resta senza risposta in mancanza di indicazioni certe della scienza, la giustizia ammette, di fatto, la propria impotenza.
Così, la zona d’ombra legislativa e giurisprudenziale sulla relazione causa-effetto delle radiazioni elettromagnetiche, finisce per trascinare nella palude dell’incertezza anche il caso di un dipendente pescarese dell’Aeronautica militare impiegato per quasi 40 anni in centri radar e scomparso nel novembre 2011 a causa di un linfoma non hodking.
La sentenza con cui la Corte dei conti ha respinto la richiesta di riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio - una vertenza da 21.500 euro - non può sfuggire all’empasse che circonda l’intera materia, anche se il giudice ha tentato di trovare una via d’uscita affidandosi alla consulenza dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (Ispo), nato sei anni fa per volontà della Regione Toscana e caratterizzato da profili di eccellenza scientifica e sanitaria.
Secondo il ricorso presentato dalla vedova a luglio 2012, il coniuge si sarebbe ammalato per cause riconducibili all’”inquinamento ambientale” essendo stato sempre a contatto con strumentazione elettronica e apparati che emettevano continue radiazioni elettromagnetiche. Una tesi confortata dalle conclusioni del servizio sanitario di uno dei reparti di appartenenza del militare (Bari Palese), secondo cui «non si può negare che cause esteriori di una certa gravità e importanza strettamente legate alla lunga carriera svolta nella categoria di controllore assistente difesa aerea, quali verosimilmente la costante esposizione, in vari reparti radar dell'Aeronautica, a radiazioni elettromagnetiche di elevata potenza nelle strette vicinanze di impianti radio-radar, possano a lungo andare aver inficiato i naturali poteri di difesa e resistenza dell'organismo e aver generato, o concorso in maniera rilevante, a favorire l'insorgenza» della malattia.
Di tutt’altro parere, invece, il ministero della Difesa, contraria al riconoscimento di un nesso tra lavoro e patologia.
La relazione autorevole dell’Ispo non ha sciolto il nodo visto che, per quanto riguarda l’esposizione dei militari che lavorano ai radar, non esistono informazioni su casi italiani. O meglio, gli studi riguardano l’esposizione della popolazione che abita vicino ai radar di Maccarese, Firenze Peretola e Galattico, e non quella degli addetti ai radar stessi. In tutti e tre i casi, comunque, sia i valori di picco sia i valori medi si sono collocati al di sotto delle attuali soglie di legge.
Per il giudice unico delle pensioni Gerardo De Marco, non vi sono elementi sufficienti per «poter affermare la sussistenza di un nesso causale tra il servizio svolto e l’infermità contratta». Per attribuire una pensione privilegiata, appare necessario «accertare quanto meno l’elevata probabilità o comunque la ragionevole probabilità della sussistenza di un rapporto di causa-effetto, non essendo sufficiente la mera “possibilità” quand’anche possa qualificarsi come seria e apprezzabile».
Il giudice ammette il dubbio («oggettivo») che l’impiego in installazioni radar militari possa avere svolto un ruolo causale o concausale nell’insorgenza della malattia. Tuttavia, aggiunge, «non esiste alcuna decisiva evidenza scientifica». «Nulla», scrive De Marco, «autorizza a ricondurre l'insorgenza del linfoma al servizio svolto piuttosto che ad altri pur verosimili fattori di rischio, del tutto estranei al lavoro svolto».
Quali altri fattori? Il fumo («un agente che determina un aumento del rischio anche del linfoma») e il virus dell’epatite C («lo stesso Ispo lo ha già valutato come cancerogeno certo per il tumore primitivo al fegato e per il linfoma») da cui il militare era affetto. Di qui, la decisione di respingere il ricorso della vedova.
©RIPRODUZIONE RISERVATA