L’INTERVISTA

Bryant, Grillo e un libro: ecco l’uomo delle regole che “fischia” il basket

Luigi Lamonica è l’arbitro più titolato in attività: «La mia vita sul parquet, tra il sorriso di Kobe e la pistola di Iverson»

INVIATO A ROSETO. L'uomo delle regole si racconta al Centro. Serio, brillante, brizzolato, sorridente, mai banale. Decidere, il suo verbo. Pagato per farlo. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante. Lui vive di questo e non sbaglia (quasi) mai un colpo. Le decisioni sono un modo per definire se stessi. Sono il modo per dare un senso alla propria vita. Sono il modo per farci diventare ciò che vogliamo. Il pescarese Luigi Lamonica,51 anni, lo ha fatto ed è diventato l’arbitro italiano più titolato in attività.

Lamonica, come ci sente ad essere il miglior arbitro in circolazione?

«Per me l'arbitraggio è diventato un lavoro e devo tutto al fischietto. Il mio primo volo, il primo treno, la prima trasferta. Devo tutto al basket, anche se fare questo mestiere è difficile. Pensi che sono sempre fuori e viaggio tantissimo, specie in aereo, prendo circa 150 voli l’anno. Ho iniziato molto giovane e la passione per il basket mi è stata trasmessa da mio padre, che è stato un dirigente dell’Amatori Pescara».

Quanto è dura la preparazione settimanale?

«Tanto. Mi alleno 3-4 volte a settimana. L'occhio, invece, si allena solo arbitrando. Il video? Anche, ma è un modo drogato di allenarsi perché ci sono rallenty e replay».

La tecnologia nel basket utile?

«Sì, tanto. A volte l'occhio umano fa fatica a vedere tutto e il basket è cambiato, rispetto a 10 anni fa»

La partita più difficile?

«Semifinale olimpica Argentina-Stati Uniti a Pechino, nel 2008. Il livello era di una spanna sopra ai miei standard. Erano tutti giocatori della Nba e parlo anche degli argentini»

La gara più bella?

«Nel 2007, Panathinaikos-Cska Mosca, la finale dell'Eurolega. Si giocava ad Atene con tantissimi spettatori. Ma anche quelle che si giocano a Belgrado sono belle. Un campo che si fa sentire parecchio, visto che ci sono 10mila spettatori a picco sul campo».

Le esperienze più belle?

«Le Olimpiadi, sicuramente. Arbitrare una gara degli Stati Uniti, con Kobe Bryant, che è un ragazzo straordinario, Lebron James e altri giocatori straordinari non capita spesso»

Il giocatore più scorretto?

«Tanti. Posso dire che Allen Iverson (ex stella Nba, ndr), ha un bel caratterino. Lui, per dire, è uno che andava in giro con la pistola»

Il più corretto?

«Bonora, ex Virtus Bologna e Treviso. Ma anche Pozzecco, che è un gran mattacchione»

Qual è il cestista più forte?

«A livello mondiale Jordan e Jabbar. Sasha Danilovic, invece, quello che ho arbitrato quando giocava a Bologna».

L'allenatore che apprezza di più?

«Ettore Messina, ct della Nazionale e vice dei San Antonio Spurs, nella Nba. Lui è un signore ed è uno che ha lanciato tanti giocatori. Una specie di Zeman del basket. Tanti suoi giocatori sono arrivati ad altissimi livelli»

Hanno mai tentato di corromperla?

«Mai. Il basket è ancora una terra incontaminata. E' difficile truccare una gara di basket e, sinceramente, non ci sono gli stessi interessi presenti in altri sport, tipo nel calcio e, poi, gli introiti sono diversi»

Quanto guadagna?

«Una partita in serie A viene pagata 1000 euro, in Europa 1.300 euro».

Perché ha lasciato il suo lavoro da impiegato per il basket?

«Era troppo stressante. Pensi che una volta, per lo stress accumulato, mi ero dimenticato di una gara da arbitrare. Era un mercoledì, ma solo nella mia testa. Squilla il telefono e dall'altra parte c'era il designatore che mi chiedeva dove fossi. Io, gli dissi: "In ufficio". E lui: “È giovedì, stasera devi arbitrare Tau Vitoria-Panathinaikos”. Erano le 9 del mattino e alle 12 avevo il volo da Fiumicino per la Spagna. Scappo via, arrivo a Roma in aereoporto, ma l'imbarco era già chiuso. Mi sono messo in ginocchio e mi hanno riaperto il volo. Sono arrivato all'ultimo minuto tra mille peripezie. Dopo quella gara mi hanno sospeso per 4 turni, ecco perché ho deciso di lasciare il lavoro».

Lei è pescarese, ma vive a Roseto. Perché?

«Negli anni mi sono innamorato di Roseto, grazie al mio amico Luca, e sono venuto qui a vivere».

È pagato per decidere, ma in Italia, secondo lei, i politici che sono pagati per prendere decisioni sono all’altezza?

«(Sorride)No. Siamo un popolo assuefatto. Ci va bene tutto e subiamo tutto. Sono preoccupato per il futuro e non vedo la volontà del cambio di marcia»

Si vive meglio all’estero?

«Certo. In Spagna, per esempio, ma anche in Nuova Zelanda e Australia. Una società senza giovani è morta, in Italia sta accadendo questo e in molti vanno via».

Pessimista.

«In Italia non c'è meritocrazia, a volte anche nello sport. Ai giovani consiglio di andare a studiare all’estero, di imparare una lingua, oltre all'inglese, anche lo spagnolo o il cinese».

Il suo orientamento politico?

«Voto Movimento 5 Stelle. I grillini non sono politici di professione. Forse non hanno una cultura politica completa, ma guardate i politici che abbiamo avuto dove ci hanno portato. Loro, invece, hanno idee e sono coerenti. In Italia ci sono troppe cose che non vanno e, forse, il Movimento 5 Stelle può sparigliare il quadro politico».

“Decidere” è il libro che ha scritto qualche anno fa, una cosa singolare per un arbitro di basket. Non crede?

«L'idea è nata grazie a Luca Maggitti, un mio amico giornalista di Roseto. Scrivevo sul suo blog e alla fine i miei racconti abbiamo deciso di raccoglierli in un libro. Una specie di diario di bordo. Il ricavato è stato interamente devoluto in beneficenza, ai malati di cancro».

@luigidimarzio

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