Deborah, la vittoria più bella: «La forza della famiglia per battere il cancro»

Deborah Salvatori Rinaldi, l’ex calciatrice di Pineto, è passata dal campo alla scrivania: ora è responsabile della comunicazione della Ternana calcio femminile. E racconta la sua storia a lieto fine: “Prima l’operazione e poi la radioterapia: l’ultima partita l’ho giocata nel 2023 sapendo di avere un tumore; l’ho finita con il naso sanguinante”
A 33 anni Deborah Salvatori Rinaldi non gioca più a calcio, ma in bacheca, oltre a uno scudetto e a una coppa Italia, ha messo il trofeo più bello: la sconfitta di un tumore. Oggi è responsabile della comunicazione della Ternana calcio femminile, neopromossa in serie A, ha appeso le scarpe al chiodo e si è messa alle spalle la battaglia più difficile della vita. Era il primo marzo 2023 quando è stata operata a Como per l’asportazione di un adenocarcinoma non intestinale T4 su base cranica. In pratica, la massa era collocata sul naso e sulla base cranica. Una settimana prima la notizia. L’ex attaccante di Pineto - all’anagrafe nata a Penne - ha giocato l’ultima gara contro la Lazio sapendo di avere un tumore e di doversi operare. «Ho finito la partita con il sangue che mi usciva dal naso», ricorda. Prima l’operazione e poi la radioterapia di qualche mese. Addio calcio giocato, ma la Ternana del patron Stefano Bandecchi (sì, il sindaco di Terni nonché patron di Unicusano ed ex presidente della Ternana calcio di C1 maschile) gli ha rinnovato il contratto. Che poi ha spalmato non potendo più scendere in campo e iniziando la carriera dietro la scrivania sfruttando anche gli studi di designer e grafica. «Solo il tempo dirà se la mia vittoria è definitiva», racconta Deborah Salvatori Rinaldi che coltiva anche l’hobby della pittura, «sta di fatto che sono pulita emi godo la vita. Che è talmente intensa e pregna di impegni che non ho il tempo di guardami alle spalle».
Come si sconfigge un tumore?
«Forza e coraggio. Soprattutto la famiglia. Saranno luoghi comuni, ma è la verità. Ho una sorella, una nipotina. Un’altra è nata nel frattempo. C’è stato sempre qualcosa da fare e laddove ci sono i bambini non c’è lo spazio per piangersi addosso. Quindi, è stata importante anche la loro presenza. A volte mi si piegavano le gambe dopo la radio. Adesso che ci ripenso, non è stata facile. Fondamentale, ovviamente, è stata anche la Ternana. Che non mi ha fatto mancare affetto e sostegno. Le ragazze, poi, mi hanno regalato anche la promozione in serie A. E ora non ci penso perché sono indaffarata».
Che cosa si sente di dire ai tanti malati oncologici?
«Che vale la pena lottare. E che la vita è bella, piena di emozioni. E mi rendo conto della fortuna di avere una bella famiglia alle spalle. Nel mio caso credo abbia fatto la differenza».
Il momento più difficile?
«Quando ho ricevuto la telefonata che confermava la diagnosi. Era metà febbraio 2023. La mia vita era solo calcio, pensavo solo a giocare. Non è stato facile affrontare quella settimana. Ho voluto allenarmi, non ho detto niente alla squadra. L’ho detto solo dopo la partita, quando dovevo andare a Como a operarmi. I medici con me sono stati chiari e onesti. Sapevo tutto, sapevo a che cosa andavo incontro. E che cosa poteva accadere».
Ora?
«Guardo avanti. Non gioco, ma resto nell’ambiente».
E che ambiente!
«Visto le mie amiche della Nazionale? Mi sono emozionata l’altra sera. La qualificazione ci ha ripagati di tanti sacrifici. Penso a Cristiana Girelli, la nostra eroina. Penso a tante ragazze che hanno contribuito alla crescita del nostro movimento. Ora siamo in semifinale europea e ce la giochiamo con la leggerezza di chi non ha niente da perdere e tutto da guadagnare. Siamo una mina vagante. Soprattutto, siamo una realtà dello sport italiano».
In Abruzzo il movimento femminile cresce ma non decolla.
«Intanto, va detto che c’è fermento e che è solo una questione di tempo. Poi, è chiaro, servono i buoni esempi e in questo senso l’exploit della Nazionale può dare una grossa mano. E comunque ci sono tante giocatrici abruzzesi in giro tra serie A e B».
Qual è il suo primo ricordo con il pallone?
«Vengo da una famiglia (lo zio ha giocato in serie C, ndr) in cui il pallone è di casa. E comunque ricordo tutt’oggi i pomeriggi al campetto di Borgo Santa Maria, laddove oggi c’è il palazzetto dello sport. Altri tempo».
Altri ricordi:
«Sono cresciuta tifando la Juventus e cercando di imitare le gesta di Pavel Nedved». Ancora: «Ho amato la Fiorentina e il Milan e quando giocano la mia preferenza va sempre verso questi colori perché per me sono stati una famiglia».
Infine l’arte: «La mia collezione più importante si chiama T-Art, ed è un tipo d’arte che si mischia con lo sport. Utilizzo divise da gioco originali e incastonate della tela unendo colore e storia. Per tutte le altre tele non ho una tecnica specifica ma prediligo quella del movimento e dell’ispirazione momentanea in base alla composizione e all’armonia degli elementi e dei colori».
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