L'INTERVISTA

Galeone: rifarei tutto, ho avuto ciò che volevo e mi sono divertito / VIDEO 

L’ex tecnico biancazzurro: «Io e Pescara, un amore unico. I tifosi mi vogliono ancora bene e mi fermano per strada»

PESCARA. Per tutti, a Pescara e in Abruzzo, ancora oggi è il Profeta, l’allenatore che ha segnato un’epoca sulla panchina biancazzurra. Una fonte di ispirazione per molti, in campo e fuori. Oggi Giovanni Galeone taglia il traguardo degli 80 anni, gran parte dei quali dedicati al calcio. In particolare al Pescara: per due decenni, infatti, è stato il personaggio attorno al quale ha ruotato il mondo biancazzurro, anche quando era altrove. Due promozioni in serie A (1987 e 1992), ma, soprattutto, un modo di essere: audace e godereccio; istrionico e mai banale. Per anni si sono confrontati galeoniani e non.
Galeone, come ci si sente a 80 anni?
«Uno straccio, come vuole che mi senta a 80 anni?».

GLI AUGURI DI MICHELE PLACIDO E DAVIDE CAVUTI: GUARDA IL VIDEO

"Carissimo Maestro di tanti Maestri del calcio italiano"
Da Roma, il regista Michele Placido e il compositore abruzzese Davide Cavuti fanno gli auguri al Mister Giovanni Galeone per il suo ottantesimo compleanno. Da molti anni Michele Placido ha scelto come compositore l’abruzzese Davide Cavuti, suo collaboratore al cinema e in teatro; nei momenti di pausa, lo si vede spesso a Francavilla al Mare, città dove risiede Cavuti, e dove soggiorna anche Mister Galeone ogni volta che torna in Abruzzo. Il maestro Cavuti, appassionato di calcio e tifoso del Pescara, ha trasmesso la fede biancazzurra anche a Placido. Il messaggio si è concluso proprio con un «Forza Pescara».

Come festeggerà?
«Non lo so, per la prima volta dopo 35 anni non verrò (vive a Udine, ndr) a Pescara. Non posso muovermi per il Covid. E comunque di solito ci pensa mia moglie a organizzare le feste…».
Chi inviterebbe?
«Tutti, indistintamente».
Il suo bilancio?
«Nessun rimpianto, ho avuto tutto quello che volevo. Mi sono divertito. Non ho mai provato invidia, solo verso chi è più intelligente e colto di me. Ho vissuto bene sin da bambino, non mi è mai mancato niente. È vero che non ho mai chiesto niente a casa, ma se ce ne fosse stato bisogno sapevo che ci sarebbe stata la disponibilità dei miei genitori».
Il periodo più bello?
«Quello della gioventù, quando si girava e ci si divertiva. I tempi della nazionale giovanile. Il secondo periodo bello è stato quello in cui allenavo nei settori giovanili. Penso che lavorare con i ragazzi sia determinante per la formazione degli allenatori. Ho smesso presto con il calco giocato e ho avuto la fortuna di restare nel mondo del pallone. E poi, certo, Pescara. Anni indimenticabili. Anche se ho fatto bene anche altrove e ho scoperto che mi ricordano con affetto anche in altre piazze. Due anni fa sono stato a Ferrara, la curva mi ha acclamato. A Perugia lo stesso. E così via…».
Pescara, però, …
«Pescara a parte. Sento l’affetto ancora oggi. Pescara, ma non solo. Direi tutto l’Abruzzo. Da San Salvo a Sulmona, passando per altri posti. Un tempo mi fermavano per chiedere l’autografo, oggi vanno di moda i selfie. Vogliono farsi la foto con me anche alla soglia degli 80 anni».
Perché?
«Non lo so, è un amore naturale. Spontaneo, genuino. Nessuno ha forzato l’altro. Mi vogliono bene ed è una cosa che mi rende felice».
Che cosa non rifarebbe?
«A livello professionale due scelte sbagliate: Como e Napoli. Non c’entravo niente con quei contesti. Mi dispiace per Napoli che di lì a poco fallì. Non era periodo. Delle volte noi allenatori siamo di una presunzione incredibile perché crediamo di poter riuscire laddove altri hanno fallito. Anche più di uno. Siamo testardi».


La squadra più forte che ha allenato?
«Non una. Partiamo da quella della seconda promozione in A a Pescara, nel 1992. Poi, metterei quella di Perugia, formidabile. E che dire di Udine? Che se un allenatore non vince con quella squadra gli devono strappare il patentino. Era imbattibile. Diciamo che dove ho allenato, ho avuto a disposizione tutte squadre valide sul piano tecnico. Sul piano tattico, invece, il Pescara promosso in A nel 1987 era il top. Non c’era nulla da insegnare».
Da dove nasce la ricerca del gusto del bello?
«E’ un fatto estetico, sin da quando giocavo o allenavo le giovanili. All’epoca andavano forte Torino, Milan e Inter a livello di ragazzi. Sì, il temperamento è apprezzabile. Ma vuoi mettere il bello, la giocata di classe. L’agonismo va bene, ma serve a chi deve compensare un gap tecnico».
A Pescara si sono fronteggiati galeoniani e non galeoniani.
«Rido di gusto, oggi come allora».
Perché?
«Perché questa presunta distinzione era frutto di gelosie. E a me non sono mai piaciute. Gelosie tipiche del calcio. A Perugia, dopo un po’ che ero arrivato, la curva cominciava a cantare il mio nome e un po’ meno quello di Gaucci e Luciano cominciava a guardarmi storto. A Pescara, Scibilia diceva di aver speso 16 miliardi di lire, eppure la gente impazziva per me. E lui si risentiva. Però, devo dire che a Pescara ho sempre avuto a che fare con società corrette. Il primo anno, seppure tra tante difficoltà, eravamo la squadra più elegante. E poi gli alberghi di classe. Ci mancavano i campi di calcio, per il resto ci trattavamo bene».
Già, i campi di calcio.
«Chiamavo Nevio Piscione, l’allora sindaco. Gli gridavo al telefono che se non mi avesse trovato un campo di allenamento avrei portato la squadra a correre a piazza Salotto. C’era confidenza. Una volta portai i ragazzi in spiaggia per protesta».
Andò anche a inaugurare la stazione di Pescara.
«Alle due di notte. Io e Piscione. Il giorno dopo il taglio del nastro. Erano anni magici. Pescara è unica. E poi ci supportava una città che in quel periodo era in pieno fermento. Non solo economico».
Ha trovato nel calcio uno come Galeone?
«Non mi interessa. Ci pensano i giornalisti a fare certi paragoni. Io sono uno normale. Non mi sono mai montato la testa. Non sono uno snob. Da ragazzo sono cresciuto per strada con un’attenzione verso quelli più deboli. Ho ricordi vivissimi dei tempi del Dopoguerra, di Napoli e di Trieste dove sono cresciuto».


Oggi vede calcio?
«Sì, ma poco. Non mi piace. Vedo gente che costruisce l’azione partendo dal portiere. Roba da ridere. Portiere e due giocatori nell’area piccola per dare il via all’azione. Certe puttanate clamorose. Rigori incredibili. Io ero un amante del gioco offensivo, ma le mie squadre non facevano così tanti passaggi per andare in porta. Bastavano molti di meno».
Tra tutti i suoi ex giocatori chi le è rimasto più affezionato?
«Max, (Allegri, ndr), certamente. Mi cerca, ci cerchiamo. Parliamo tanto».
Come trascorre il tempo?
«Leggo poco, meno di un tempo. Questo virus mi mette angoscia. Tutto quello che limita la libertà mi intristisce. Io sono un amante della spiaggia, adoro il mare, girare, sorridere e abbracciare la gente. Oggi non si può fare niente, sono rinchiuso in casa ad aspettare che passi questa pandemia. La sera vedo la televisione, faccio tardi».
Avverte il peso dell’età?
«Fino a poco tempo fa no. Dalla scorsa estate sì. Faccio più fatica a fare le cose che rientrano nella mia normalità. Me ne sono accorto, in estate, in Sardegna dove, solitamente, mi tuffo da una certa altezza. Mi sono ritrovato con qualche livido di troppo».
Tra i suoi amici che non ci sono più con chi le piacerebbe festeggiare gli 80 anni?
«Tutti, indistintamente. Non mi faccia fare nomi perché dimenticherei qualcuno e sarebbe ingiusto. Però, inviterei tutti alla mia festa».
@roccocoletti1.

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