calcio e farmaci

Galeone sul Micoren: "Ai miei tempi c’era di tutto"

L’ex tecnico del Pescara: "Negli anni Sessanta era tutto lecito, poi sono arrivati i controlli". Repetto: "Io sono tranquillo, non prendevo alcun medicinale"

PESCARA. L'incubo che affiora dal passato si chiama Micoren, un farmaco bandito trent'anni fa perché ritenuto nocivo a livello cardiaco e nervoso, dunque pericoloso e probabilmente dopante, che ha accompagnato l'attività agonistica di tre generazioni di calciatori.

Ne ha parlato Bergomi, ex capitano dell'Inter e campione del mondo dell'82, facendo squillare di nuovo il campanello d'allarme sul rapporto mai troppo limpido, a volte perverso, tra l'uso dei medicinali e il mondo del pallone. «Per tutti i farmaci che ho preso durante la mia carriera di calciatore», dichiarava Giovanni Galeone al Tg 3Abruzzo nel 2004. «Mi sento un miracolato».

E oggi il “profeta biancazzurro” conferma: «Agli inizi degli anni '60 ho preso di tutto e penso dunque che debba essere contento se sono ancora vivo. Micoren, appunto, prima della partita o anche dell'allenamento, cortecce surrenali, cortisone appena avevi un doloretto: era tutto normale e lecito, nessuno di noi pensava che potessero essere dannose alla salute, sicuramente non erano considerate dopanti. Ma hanno lasciato danni? E' questo il dubbio che continui a portarti dietro, come confermano le recenti dichiarazioni di Bergomi, senza che nessuno sappia darti una risposta. Quando ho cominciato a fare l'allenatore la situazione già era cambiata, almeno nelle situazioni che ho vissuto direttamente, c'erano controlli sull'uso dei farmaci, anche se altrove le cose, sotto questo aspetto, sono addirittura peggiorate. Dei pericoli del doping nel calcio ne parlai col direttore di un quotidiano all'inizio dell'estate del '98, ma quello che dissi non fu preso in considerazione. Qualche settimana dopo vennero fuori invece le accuse di Zeman alla Juve…».

Chi si porta dietro dei dubbi sugli effetti che possano aver avuto i farmaci sulla salute dei calciatori della sua generazione è pure Giorgio Repetto, pescarese da quarant'anni con tre promozioni e oggi diggi biancazzurro. «No», dice, «io non mi sento un miracolato, ma solo perché di farmaci non ne prendevo proprio. Avevo paura dei medicinali. Certo, nello spogliatoio, anche a Pescara, giravano Micoren e cortecce surrenali. Per me era come se non ci fossero. Probabilmente non ne sentivo nemmeno la necessità: nei primi anni facevo ripetute di 300 metri migliorando i tempi di volta in volta, il professor Pontano diceva che non aveva mai visto uno col mio fisico. A Mantova, quando avevo 20 anni, l'allenatore Uzzecchini tra un tempo e l'altro ci faceva bere mezzo bicchiere di vino zuccherato, più in là prendevo una bustina di Polase dopo l'allenamento e integratore di sali minerali. Sono stato fortunato? Probabilmente sì, se penso ai tanti casi sospetti tutti da chiarire che hanno portato alla morte di calciatori sul finire degli anni '70 tra Fiorentina e Pistoiese. Chissà quanto tempo dovrà ancora passare prima di sapere la verità…».

La strada da seguire per cercare certezze prova ad indicarla Gianni Staffilano, pescarese, specialista in medicina dello sport, con esperienze nella Roma e nel Roseto Basket, da quattro mesi nel comitato tecnico del Ministero della salute per la vigilanza e il controllo sul doping e per la tutela della salute delle attività sportive: «La commissione per i controlli antidoping», dice Staffilano, «lavora da 10 anni, sicuramente ha fatto molto più di quanto succede in altre nazioni europee, ma non basta, anzi negli ultimi anni c'è stato un passo indietro. In serie B i controlli sono diminuiti del 60/70%, capita pure che un medico radiato dal Coni per il doping (è il caso di Santuccione) non venga sospeso dall'Ordine. In generale occorre anche un salto di qualità, magari il passaporto biologico, potenziando formazione e informazione già nelle scuole. E soprattutto, al di là della repressione, dobbiamo capire cosa andare a trovare di fronte alle continue novità che arrivano dal mondo farmaceutico. Loro sono sempre avanti, è questa la battaglia da vincere».

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