PALLA AL CENTRO

Il Conte Max e l’orgoglio, la dittatura è logora

E’ lo scudetto dell’orgoglio juventino. Forse, tra i più difficili da conquistare tra i sette messi in fila dal 2012 a oggi. Paragonabile, probabilmente, al primo soffiato al fotofinish al Milan di Allegri. È lo scudetto dell’orgoglio perché ottenuto da un gruppo che ha una spina dorsale un po’ logora. Ha temuto la spallata e ha reagito affermando la propria forza. Siamo andati vicino alla fine della dittatura bianconera grazie al Napoli, protagonista di un campionato straordinario, giunto al culmine di un progetto impostato da Sarri che negli anni ha portato i singoli giocatori (titolari) a una crescita inimmaginabile. Non abbastanza per contrastare lo strapotere della Juventus. Che ha vinto anche con il Var, il tanto atteso strumento tecnologico di supporto all’arbitro. Uno strumento che aiuta a ridurre il margine d’errore, ma che non lo cancella per principio perché comunque gestito da un essere umano. Non sono mancate le polemiche, perché, tante o poche, ce ne saranno sempre. Perché laddove esistono passione e tifo sono fisiologiche. Tanto più in Italia dove tutto quello che è establishment viene visto con disprezzo. A un certo punto della stagione la Juventus si è trovata tutti contro, non solo il Napoli. Tutti decisi ad abbattere la dittatura calcistica che “opprime” il calcio italiano. Ecco, quindi, il moto d’orgoglio, individuabile plasticamente in quei due minuti della rimonta di San Siro (da 2-1 a 2-3) contro l’Inter, ma che covava da tempo nello spogliatoio bianconero che si sentiva accerchiato. Ha reagito con la classe dei suoi campioni, con i colpi dei singoli più che con il gioco di squadra. Ha vinto con il carattere, una merce rara che non si allena. O ce l’hai o non ce l’hai. Si era detto sin dall’inizio che questa stagione non sarebbe stata dominata dalla Juve, perché il gap con le rivali si era ridotto. Probabilmente, la dittatura sarebbe stata abbattuta se non fosse stato solo il Napoli a tenere i ritmi folli. Il gap si è ridimensionato con i partenopei, grazie al valore aggiunto del gioco di Sarri, ma non con le altre: con Roma, Milan e Inter che la scorsa estate venivano considerati potenziali rivali nella corsa scudetto. Hanno corso a perdifiato solo Juve e Napoli, una gara di resistenza a ritmi altissimi in cui le altre si sono fatte da parte sin dai mesi di dicembre e gennaio. Sul filo del traguardo è caduto il Napoli, esausto dalla lunga corsa sostenuta con un’andatura non propria. Alla lunga non è bastato il valore aggiunto del gioco di Sarri. La Juve ha vinto sapendo che probabilmente si è esaurito un ciclo: ha ancora la difesa meno perforata, ma non è la stessa degli ultimi anni. Piaccia o no, ma la partenza di Bonucci ha pesato almeno per il fatto di non essere stato degnamente rimpiazzato. Il passare degli anni ha logorato l’ossatura della squadra. E solo se saprà rinnovarsi riuscirà a mantenere in piedi la dittatura. In primis nelle retrovie. C’è il marchio di Allegri (ha vinto il 75% delle partite sulla panchina bianconera) sul 34° scudetto, non fosse altro per la calma e la sagacia con cui ha gestito le situazioni difficili. Per come è riuscito a sfruttare la rosa profonda da gestire in tre competizioni. Per non aver perso la testa dopo le sconfitte (ad esempio quelle in Supercoppa con la Lazio e in campionato contro la Sampdoria e il Napoli), quando la dittatura traballava ed erano tutti pronti alla spallata finale.
La vigilia del doppio impegno di novembre con le trasferte di Napoli e di Atene (in Champions con l’Olympiacos) sono state gestite in maniera magistrale. E in quel frangente c’era il rischio di vedersi crollare il mondo addosso. Ma lui ha sempre mascherato i difetti e i rischi. Se Sarri è un valore aggiunto per il gioco dato al Napoli, Allegri lo è per la gestione e il coinvolgimento del gruppo e per l’esaltazione delle doti da stratega. Max nel preparare le sfide secche è uno dei migliori in Europa. Quattro scudetti, altrettante coppe Italia, due finali di Champions e altrettante eliminazioni dalla massima competizione europea maturate al termine di quelle che possono essere considerate tra le migliori partite disputate dalla Juve, negli ultimi anni, prima a Monaco di Baviera e poi a Madrid. Si può discutere finché si vuole, ma resta il fatto che Allegri ha dato un rango internazionale a una squadra che, per stessa ammissione di chi lo ha preceduto, Antonio Conte, era impossibile avere. In questi anni Allegri ha avuto il merito di plasmare una squadra che si è gradualmente rinnovata poggiandosi sempre su un nucleo storico. Questa volta la sensazione è che ci sia bisogno di cambiare ancora di più per resistere ad altissimi livelli. Questa volta andranno sostituite le colonne, ad esempio Buffon. Un lavoro ancor più difficile, ammesso che Allegri voglia restare e alzare nuovamente l’asticella. Perché nella prossima stagione non basterà fare leva sull’orgoglio per mantenere in vita la dittatura bianconera.
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA