CALCIO SERIE B / INTERVISTA A PILLON

«Io, operaio del calcio mai raccomandato» 

L’allenatore del Pescara: «Nella vita mi sono guadagnato tutto Vorrei restare, anche con una squadra giovane, per fare il 4-3-3»

PESCARA. Una salvezza con i baffi, un tratto distintivo marcato di Bepi Pillon, come del resto la cadenza veneta spiccata. Il Pescara è rimasto in B e tanti meriti sono del 62enne allenatore di Preganziol. Il tecnico trevigiano ha vinto la sua sfida, portando il Delfino in acque sicure evitando la lotteria dei play out. Il prossimo anno, in panchina, in tanti vorrebbero ancora lui, che si è raccontato al Centro.
Pillon, missione compiuta. Se l’aspettava così la sua avventura in biancazzurro?
«Quando si subentra è sempre difficile, ma sapevo a cosa andavo incontro. Qui ho trovato terreno fertile, con una squadra pronta a mettersi in discussione e che mi ha mostrato fin da subito grande disponibilità al sacrificio».
Anche a livello mentale il suo lavoro ha inciso parecchio.
«In una situazione del genere le prime cose da portare sono serenità e tranquillità mentale. Concentrazione nel lavoro, ma anche serenità fuori dal campo. Bisogna alleggerire le menti dei calciatori».
Riavvolgiamo il nastro e torniamo al 30 marzo, quando è stato contattato.
«Quando mi ha chiamato Giorgio Repetto ho pensato che era la volta buona per allenare il Delfino, dopo il primo contatto nel 2014, quando la società incontro anche me, ma poi scelse Baroni».
Che voto darebbe alla squadra?
«Sette perché ha grossi margini di miglioramento. Questa è una squadra temibile che poteva tranquillamente ambire a qualcosa di più importante e poteva arrivare tranquillamente ai play off».
Il calcio in casa Pillon è un vero affare di famiglia…
«Sì (sorride, ndr). Mio fratello, Albino, per diversi anni ha fatto il mio vice e mio figlio, Jacopo, da tre anni lavora nel mio staff. Si è laureato in Scienze motorie, è andato in Australia a fare il cameriere, poi è rientrato in Italia e ha iniziato a fare il preparatore atletico. Non è stato un figlio di papà, ha capito subito cosa vuole dire lavorare e mantenersi lontano da casa».
Lei è uno “zingaro della panchina”. Solo in due occasioni è rimasto per più di una stagione nello stesso club. A Pescara potrebbe essere la terza volta?
«Me lo auguro perché qui sto bene. Ho trovato un ambiente fantastico. Non mi aspettavo tanto affetto da parte della gente e questa cosa mi ha fatto enormemente piacere. Arrivare dopo Zeman non era facile, invece ho avuto un riscontro positivo».
Con la società i rapporti come sono?
“Ottimi. Mi sono sentito addosso la stima del presidente Sebastiani fin dai primi giorni».
Il progetto futuro sarà ancora con Pillon in panchina?
«Sono venuto qui per dimostrare di essere all’altezza del Pescara. Il prossimo anno mi piacerebbe confermarmi e giocare un bel calcio. Voglio arrivare ai risultati attraverso il gioco».
Da che sistema di gioco vorrebbe ripartire?
«Dal 4-3-3, ma dipenderà sempre dalle caratteristiche dei giocatori ».
Le andrebbe bene anche ripartire da una squadra giovane e con tanti giocatori alla prima esperienza in B?
«Non ho nessuna preclusione, ma le scelte devono essere fatte in sintonia con il modulo di gioco. Non ho mai fatto ragionamenti diversi su giovani o anziani».
Lei si definisce “Operaio della panchina”.
«Sono un allenatore che è partito dal basso, ogni traguardo raggiunto è stato frutto del lavoro quotidiano. Ho avuto alti e bassi, ma alla base di ogni esperienza c'è stato il massimo impegno. Ho fatto molta gavetta, tutto quello che ho avuto me lo sono sudato. Non sono mai stato raccomandato dai procuratori o legato a qualche personaggio del calcio».
Lei ha scoperto Reginaldo e Barreto, ma Bonucci e Barzagli non le dicono nulla?
«Certo che sì. Bonucci arrivava dalla Primavera dell’Inter ed è stato con me Treviso, nel 2007, nella sua prima esperienza dopo il settore giovanile. Era già forte all’epoca, ma doveva solo diventare un po’ più disciplinato in campo e nel tempo è migliorato tanto. Barzagli, invece, è stata una mia scoperta. Nella Pistoiese faceva il centrocampista centrale. Dopo qualche allenamento capii che avrebbe potuto rendere meglio qualche metro dietro e gli dissi: "Andrea, spostati a fare il difensore ". Lui accettò con un po' di sorpresa. Si vedeva che aveva la stoffa del campione, tanto che l'anno successivo lo portai con me ad Ascoli in C1: da difensore centrale vincemmo il campionato. Ricordo che prima del suo approdo al Chievo mi telefonò Sartori, il ds dei gialloblù, e gli dissi che Barzagli da riserva sarebbe diventato il più forte della squadra e cosi è stato».

Andrea Barzagli
A Pescara c’è qualcuno che potrebbe seguire la stessa strada?
«Gravillon in prospettiva può diventare fortissimo, ma deve rimanere umile e con la testa accesa. C’è anche Machin che mi ha colpito tanto, come lo stesso Perrotta».
E se il prossimo anno dovessero partire pezzi pregiati lei rimarrebbe volentieri?
«Non sarebbe un problema»
In vacanza dove andrà?
«In Sardegna, in un posto dove posso girare in pantaloncini e maglietta senza problemi, come piace a me».
Dei pescaresi che idea si è fatto?
«Sono persone molto passionali. Credo che siano abituati a vedere il bel calcio e lo spirito di sacrificio. Se diamo tutto la gente ti apprezza, è una cosa che ripeto sempre ai miei giocatori».
I suoi modelli di allenatore?
«Sacchi, quello che ha cambiato il calcio, ma anche Guidolin. Mi piace un calcio organizzato e propositivo»
Mancini ct le piace ?
«È l’allenatore giusto per la Nazionale. Il selezionatore deve avere una conoscenza vasta e credo che Mancini abbia queste caratteristiche. Ma bisognerà ristrutturare tanto per tornare competitivi. Ci sono tante squadre con troppi stranieri e non viene valorizzato il prodotto italiano».
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