Domani lo sfratto dell’Italprefabbricati e 107 licenziamenti

Il Comune poi esproprierà l’area per darla all’azienda D’Eugenio: «Così possiamo salvare i posti di lavoro»

ATRI. L’ufficiale giudiziario domani riuscirà, dopo due mesi di tentativi, ad entrare all’Italprefabbricati. La storia tutta italiana della fabbrica in pericolo perché sorge su una striscia di terra che dopo 34 anni di battaglie legali non è di sua proprietà continua con i colpi di scena. Domani l’ufficiale giudiziario effettuerà l'accesso nella fabbrica di manufatti in cemento di contrada Stracca per l’apposizione dei sigilli nell’area “incriminata”.

Si tratta di un accesso concordato con la stessa azienda. E questo - dopo tutte le battaglie e le occupazioni fatte in passato per non farlo entrare, anche con l’arrivo del vescovo Michele Seccia - potrebbe stupire. Ma in realtà è questa - cioè il ritorno del terreno nelle mani dei proprietari, gli eredi Pretaroli di Chieti - una delle condizioni necessarie per fare entrare in azione il Comune di Atri con il suo decreto “salva-Italprefabbricati”. Altra condizione perchè sui crei la “pubblica utilità” citata nel decreto sono i licenziamenti: così dal 3 maggio tutti i 107 lavoratori riceveranno il preavviso di licenziamento. Il consiglio comunale di Atri il 10 aprile ha deliberato infatti l'emissione di un decreto “di acquisizione sanante” ai sensi dell’articolo 42 bis del Dpr 327 del 2001.

Tutto ciò dà la possibilità al Comune, appena si verificano le condizioni, di espropriare l’area alla famiglia Pretaroli e di reimmettere l'Italprefabbricati nel possesso dell'area. Si stima che passi meno di una settimana: l’azione del Comune con l’esproprio dell’area si svolgerà probabilmente lunedì.

Il proprietario dell’Italprefabbricati, Alfonso D’Eugenio, vede dunque concludersi un periodo di incertezza. «Ho tentato sia prima del consiglio comunale che dopo, di risolvere bonariamente la vicenda con gli eredi Pretaroli», dichiara, «tanto che ho offerto una somma maggiore di quella stimata dal Comune, ma è stata rifiutata». La stima in totale del tecnico incaricato è di 1.850mila euro circa, incrementata dal Comune del 30%. Va infatti calcolato il danno non patrimoniale, che secondo il 42 bis è almeno del 20% del valore del bene in senso stretto. Per cui D’Eugenio deve pagare un milione 915mila euro. Sono soldi che entro un mese dalla notifica del decreto vanno depositati alla Cassa depositi e prestiti. Gli eredi Pretaroli se accetteranno lo status quo li ritireranno. Ma l’avvocato della famiglia, Vittorio Supino, ha già annunciato un ricorso al Tar.

«L'amministrazione comunale si è è presa carico di un problema economico e sociale che avrebbe creato serie ripercussioni in tutta la zona», aggiunge l’imprenditore, assistito da Fabrizio Acronzio «non so quanti altri amministratori avrebbero avuto questa sensibilità. E' vero che ci sono le condizioni di legge per applicare questo istituto giuridico, ma il Comune poteva non farlo. Una sensibilità che ha consentito la conservazione dei posti di lavoro, anche dell'indotto, e che ci consente di continuità dell'attività produttiva».

Lunedì pomeriggio si è svolta un’assemblea sindacale dei 107 dipendenti che subiranno il brevissimo licenziamento. Sono preoccupati e sperano che i passaggi burocratici si svolgano come previsto.

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