Il gip: niente libertà a Di Pietro e Curti

Fallimento Di Pietro e società sequestrate nello studio Chiodi-Tancredi, il giudice Tommolini respinge per la seconda volta la richiesta del difensore degli imprenditori arrestati

TERAMO. Crac Di Pietro e società sequestrate nello studio Chiodi-Tancredi: per la seconda volta in un mese il gip dice no alla scarcerazione di Maurizio Di Pietro e Guido Curti, due dei quattro imprenditori teramani arrestati a gennaio per la bancarotta da 15 milioni di euro. Gravi esigenze cautelari: con questa motivazione il giudice Marina Tommolini ha respinto la richiesta di libertà presentata dall'avvocato Cataldo Mariano.

«Questa volta non comprendo il provvedimento del gip Tommolini», dice il difensore dei quattro, «considerando che tutte le società dei miei assistiti sono sotto sequestro». Già a febbraio il gip ha respinto una prima richiesta di scarcerazione e per questo il legale si era rivolto al tribunale del Riesame. Ma anche i giudici aquilani hanno respinto il ricorso per i fratelli Maurizio e Nicolino Di Pietro (quest'ultimo attualmente ai domiciliari) e per Curti, annullando solo l'ordinanza di custodia cautelare emessa per Loredana Cacciatore, moglie di Curti. Contro il provvedimento del Riesame l'avvocato ha presentato ricorso in Cassazione.

Maurizio Di Pietro, oltre che di bancarotta, è accusato anche di aver tentato di corrompere il curatore fallimentare di una delle quattro società che, per l'accusa, sono state fatte fallire dopo essere state prosciugate di tutti i beni. Le quote della Mg Costruzioni, l'unica società riconducibile ai quattro ancora attiva, sono sotto sequestro insieme a quelle della Kappa Immobiliare e dalla De Immobiliare Srl, le due società che avevano sede legale nello studio Chiodi-Tancredi, quello del presidente della giunta regionale e del suo socio commercialista Carmine Tancredi.

Tancredi, commercialista dei Di Pietro, non è indagato e nei mesi scorsi è stato sentito come teste. Per l'accusa la Kappa e la De Immobiliare, controllate al 99% da due società cipriote, sono le tappe finali di un fiume di denaro proveniente dai fallimenti delle quattro società teramane riconducibili agli imprenditori arrestati. Soldi portati all'estero, a volte dopo essere stati ripuliti nei Casinò, parcheggiati in banche svizzere e londinesi e poi fatti rientrare in Italia attraverso le società cipriote. Soldi che, secondo l'accusa, sono serviti per acquistare immobili nel Qatar e il Lido Atlantic di Roseto.

Intanto tra qualche settimana dovrebbero rientrare le due rogatorie internazionali chieste in Svizzera e Gran Bretagna dal pm Irene Scordamaglia: è ipotizzabile che solo dopo aver analizzato minuziosamente questi atti gli inquirenti decidano se fare nuove iscrizioni nel registro degli indagati. Obiettivo dei magistrati è capire chi movimentasse i conti esteri sui cui transitavano i soldi delle società coinvolte, a cominciare proprio dalla Kappa Immobiliare e dalla De Immobiliare Srl.

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