Lavanderia Martelli, allarme chiusura

Pochissime le commesse destinate allo stabilimento di Ancarano, i sindacati temono per gli 81 posti di lavoro

ANCARANO. Martelli, futuro sempre più incerto. I sindacati lanciano un allarme sulla situazione della lavanderia industriale di Ancarano, che attualmente ha 81 dipendenti. E’ in corso un contratto di solidarietà, che finirà a novembre. «Attualmente lavorano 24 persone su 81», esordisce Emanuela Loretone della Filctem Cgil, «collegate alla Penny jeans che è il progetto che dovrebbe essere di rilancio all'attività aziendale. Ma la maggior parte delle commesse viene portata in altri stabilimenti in Italia e all'estero e per noi questo è un segnale che l’azienda ha intenzione di fare una riduzione drastica. L’azienda si è detta dispiaciuta dei nostri dubbi sul futuro, ma noi dobbiamo fare i conti con la situazione: 80 lavoratori non percepiscono nulla da dicembre».

Ancora non c’è il decreto del ministero che approva il contratto di solidarietà e l’azienda si è rifiutata di anticipare l’indennità. Questo sta creando grossissime difficoltà ai lavoratori. Nella riunione di ieri è emerso che alcuni per sopravvivere vanno a mangiare alla Caritas e c’è chi persino non può pagare l’autobus per far andare all’università il figlio. «Abbiamo iniziato la vertenza ormai da due anni e l’azienda mai chiara sulle proprie intenzioni», aggiunge Loretone, «ora siamo arrivati al dunque. E' un'azienda più seria di tante altre, riconosciamo gli sforzi della famiglia Martelli, ma il dato di fatto rimane: la perdita di occupazione in una realtà che espressione del boom economico è diventata un boom di povertà. I lavoratori della Martelli non chiedono ulteriori ammortizzatori sociali, ma di riportare commesse ad Ancarano». Martedì alle 11 si terrà l’assemblea e i sindacati contano di organizzare iniziative «per far sì che l’azienda venga allo scoperto rispetto ai propri obiettivi».

«Non prevediamo nulla di positivo, c’è un peggioramento del mercato italiano, anche gli altri stabilimenti stanno andando male», aggiunge Giampiero Daniele della Femca Cisl, «temiamo un’ondata di licenziamenti. Alla fine del contratto di solidarietà sono esauriti tutti gli ammortizzatori sociali. La discussione è da spostare urgentemente nelle sedi istituzionali perchè la situazione è molto delicata. E lo è soprattutto per i lavoratori che non hanno soldi per sopravvivere, sono disperati. Nel frattempo tutti fanno la campagna elettorale parlando di altro». Il sindacalista fa notare che ora bisogna siglare un nuovo accordo per la cassa integrazione ordinaria che scade a fine maggio, per coprire le ore che non copre la solidarietà.

«Abbiamo sentito la stessa solfa in tutte le ultime riunioni», sbotta Emidio Angelini della Uiltec Uil, «secondo me c’è un disegno messo in piedi da anni: la chiusura dello stabilimento anche se l’azienda dice in contrario e che sta facendo di tutto per riportare qui commesse. La situazione è pesante anche perchè l’azienda ha dimenticato che in 40 sono andati in mobilità a fronte di un ritorno dell’attività ad Ancarano, che però non è avvenuta. Insiste sulle prospettive date dalla creazione della Penny jeans ma temiamo che sia un palliativo. L’azienda dice che ha investito su questo stabilimento, ma qui finiti tutti gli ammortizzatori sociali: noi avevamo chiesto che si facesse lavorare di più Ancarano visto che si stanno esaurendo. Ma molto è stato dirottato nello stabilimento di Toscanella».

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