Marta nei giorni della riabilitazione con l'allora allenatore del Teramo basket Capobianco e il giocatore Moss

TERAMO

Marta e la sua seconda vita: «Ora insegno il coraggio agli altri» 

Per 23 ore sotto le macerie nella casa dell’Aquila in cui viveva con altre ragazze: «La vera impresa è ricominciare. Ho scelto di diventare una coach motivazionale»

TERAMO. Per far scorrere di nuovo la vita Marta ha scelto di non avere paura della vita. Perché a partire da una data l’esistenza vira, assume un’altra prospettiva, cambia la percezione delle cose. E in quest’Italia di destini inghiottiti da terre che continuano a tremare Marta Edda Valente, oggi giovane donna di 33 anni nata a Bisenti e diventata cittadina del mondo, ne aveva appena 24 quando il terremoto dell’Aquila ingoiò il suo presente di studi, serate universitarie, risate con gli amici, progetti di viaggi e di un futuro tutto da scrivere.

Marta Edda Valente in una immagine di oggi

Per 23 ore è rimasta sotto le macerie, sepolta da un intero palazzo di via Rossi in cui viveva con tre amiche che non ci sono più: le prime lunghissime otto passate a contare i battiti del suo cuore, le ultime infinite quindici con il rumore della vita dei soccorritori.
Nove anni dopo alla cronista che le chiede di raccontare Marta dice: «Va bene a patto che sia dato un taglio estremamente volto alla positività. Quindi non vorrei parlare troppo di quanto accaduto bensì di ciò che ho preferito fare dopo per riprendere in mano la mia vita, la mia esistenza». Perché Marta ha ripreso in mano la vita rimasta sotto quel cumulo di macerie di via Rossi, si è rialzata non una ma mille volte, ha afferrato con forza la sua via d’uscita. Perché ha imparato sulla propria pelle che c’è sempre una via d’uscita. Lo ha fatto dopo 102 giorni di ricovero e centinaia di ore di riabilitazione fisica per tornare a camminare. Con le gambe e con il cuore. Ed oggi che questa giovane donna dagli occhi che parlano e dal sorriso che riempie la stanza racconta il suo presente ti accorgi che le parole, anche quelle che i cronisti cesellano per rendere l’idea, sbiadiscono e perdono di forza. Difficile trovare quelle più giuste per rendere il senso delle cose. A cominciare dal coraggio di Marta per la sua seconda vita.

Il salvataggio nel 2009 dopo essere rimasta sepolta per 23 ore

Ha sempre detto di essere rinata una seconda volta quel 7 aprile del 2009, quando dopo 23 ore è stata tirata fuori dalle macerie che l’avevano sepolta nella casa in cui viveva con le amiche universitarie. Da dove si ricomincia?
«Si ricomincia dalla voglia di vivere, dalla motivazione. Sono scampata al terremoto, è vero. Ma la vera impresa è stata quella di essere felice dopo, nonostante tutto. Da questa esperienza ho imparato che il terremoto è una grande forza della natura ma è la natura stessa che ha regalato a tutti noi una potenza altrettanto grande: l’intelligenza. Sta a noi scegliere come usarla: io ho cercato di trasformare questo grande dolore in qualcosa di positivo. Io ho ricominciato dal tornare a camminare e dallo studio pensando che lo studio, in fondo, è ciò che puoi scegliere oggi per costruire il tuo domani».
Come ha ritrovato la sua quotidianità?
«Ho iniziato a viaggiare di più, a esplorare quella stessa natura così beffarda che tanto mi ha tolto, ma che tanto continua a donarmi. Ogni giorno. Ho iniziato a condividere sempre più il tempo a disposizione con la famiglia e con gli amici. Ho iniziato a svolgere attività di volontariato e ad adattarmi con maggiore flessibilità alle situazioni che la vita mi riserva godendo di ogni attimo a disposizione».
Che valore ha oggi per lei la parola resilienza?
«La resilienza è una caratteristica dei materiali metallici che, se sottoposti ad un forte urto, non si rompono e riescono a tornare nella condizione iniziale. Questa è la definizione che ho appreso sui libri, quando studiavo ingegneria alla facoltà dell’Aquila. Oggi ho conosciuto un altro significato di questa parola: il riprendere in mano la propria vita con forza e positività davanti a situazioni difficili senza mai perdere di umanità. Ovvero, il coraggio di non aver paura».
Dopo il terremoto si è laureata in ingegneria gestionale, ha scelto di diventare una coach motivazionale e di cominciare a fare volontariato. Aiutare gli altri aiuta a rinascere?
«Ho deciso di convertire il grande dono che ho avuto dalla vita, ossia la vita stessa, in qualcosa che potesse essere dono nel mondo, speranza nella collettività. Sono diventata una coach motivazionale con l’obiettivo di aiutare gli altri e supportarli convinta del fatto che “donare è ricevere e ricevere è dare”».
Cosa le ha tolto e cosa le ha dato quella scossa di terremoto?
«Il terremoto mi ha tolto le mie amiche, tutto ciò che possedevo (libri, vestiti, scarpe, computer), la mia quotidianità. Tuttavia per me, ogni giorno dopo il 5 aprile è diventato una conquista. Tante cose appartenenti alla normalità hanno acquisito un sapore speciale: vedere il cielo, osservare gli alberi, ascoltare i rumori della natura, riabbracciare famigliari, amici ed i miei soccorritori del Soccorso Alpino e Speleologico che mi hanno tirata fuori dalla macerie del terremoto».
L'ultimo ricordo che ha di quella maledetta sera del 5 aprile 2009?
«La buonanotte data alle mie amiche che purtroppo non ce l’hanno fatta».
Come si conquista il coraggio di non avere paura e come si trasforma il dolore in qualcosa di positivo?
«Oggi il mondo lo vedo e lo vivo con occhi diversi: ne osservo la luce, ne respiro i profumi e ascolto i suoi suoni. Ho scoperto un nuovo mondo in cui sperare, imparare, sognare. Credo che metaforicamente, ognuno di noi si trova a vivere momenti difficili, di buio e di silenzio, ma è proprio in questi che si cresce, è nella crisi che ci si trasforma, si capisce chi e come si vuole essere e si sceglie come disegnare la propria vita e creare il mondo che si desidera. In queste che chiamo le mie “olimpiadi della vita” ho scelto di vivere a pieno, di non fermarmi davanti alle difficoltà ma di combattere - con pazienza, tenacia, determinazione e resilienza- e rimettermi in gioco, di credere in me stessa e negli altri, di colorare la mia vita con il sorriso, con gioia e amore. Piccole cose che diventano medicina per l’anima. E che, messe insieme, suscitano un pensiero spontaneo rispetto alla vita: “ ne vale la pena”».
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