Stesso reato, assolta e condannata

A 17 anni processata due volte per sbaglio e scambiata per un’altra donna

TERAMO. Assolta e condannata per lo stesso reato da due tribunali diversi. Scambiata per maggiorenne e poi per una donna con lo stesso nome. Infine rinchiusa in carcere per due mesi per un furto non commesso. Pina ha 17 anni quando un magistrato l’accusa di furto. E’ una ragazza rom protagonista di un caso di ingiustizia segnato da tre errori e molte responsabilità.

La ricostruzione di questa sequenza di errori, che coinvolge un pubblico ministero, un giudice, impiegati delle cancellerie, ufficiali giudiziari e carabinieri che hanno notificato gli atti, non è stata facile perché parte dal 2001 e dura fino al 21 gennaio scorso. Pina ha impiegato nove anni per dimostrare di essere vittima di un’ingiustizia, innescata da una serie di superficialità, e per ricorrere alla Corte d’appello che ha cancellato la condanna. Ma per nove anni nessuno ha letto le carte, nessuno ha considerato che dietro quegli atti giudiziari c’è una persona.
Cosa accade se a sbagliare è la giustizia? Il difensore della giovane rom, l’avvocato Vincenzo Di Nanna, farà causa allo Stato per ingiusta detenzione. Poi però non accadrà più nulla. Ma gli sbagli che hanno segnato la vicenda giudiziaria di Pina vanno raccontati.

IL PRIMO ERRORE.
Pina scambiata per maggiorenne.
La rom ha 17 anni, quindi è minorenne, quando, nel 2001, l’accusano di un furto in un appartamento ma la procura di Teramo non lo tiene in considerazione e, il 3 giugno del 2003, rinvia a giudizio la ragazza con una citazione diretta, che non passa al vaglio del giudice per le indagini preliminari.
I tempi della giustizia sono come il fenomeno carsico che impiega anni per scavare la roccia. Infatti Pina viene processata tre anni dopo, il 5 luglio del 2006, quando un giudice la condanna a due anni di reclusione che la rom deve scontare in una casa circondariale e non in una casa di accoglienza prevista per chi non ha compiuto 18 anni al monento del delitto imputato.

IL SECONDO ERRORE.
Si entra in una atmosfera kafkiana. La ragazza, nel frattempo, viene anche processata dal tribunale per i minori dell’Aquila per lo stesso reato del 2001. E i giudici per i minori la assolvono con la formula del «non aver commesso il fatto».
Qualche mese dopo, però, il tribunale ordinario - era la sezione distaccata di Giulianova - le infligge i due anni. Pina non sa di essere imputata e non si presenta in aula. Viene processata in contumacia e difesa da un avvocato d’ufficio. Le superficialità, quindi, si moltiplicano insieme alle responsabilità.

ARRIVA IL TERZO ERRORE.
Si consuma quando il tribunale deve comunicarle la condanna a due anni di carcere. Ma la notifica viene fatta ad un’altra donna che ha lo stesso nome della ragazza rom, entrambe si chiamano Pina, hanno lo stesso cognome e abitano nella stessa via ma hanno ben dieci anni di età di differenza.
La notifica viene materialmente eseguita dai carabinieri. La destinataria dell’atto giudiziario è una cugina della giovane rom condannata per sbaglio. Così l’errore di omonimia impedisce, per l’ennesima volta, a Pina di sapere della condanna a due anni di carcere e quindi di potersi difendere ricorrendo in appello. La condanna passa in giudicato e diventa definitiva.

L’ULTIMO ATTO.
Di errore in errore sia arriva al mese di novembre del 2009 quando finalmente un carabinuere bussa alla porta giusta e consegna la condanna per il furto del 2001 a Pina che, nel frattempo, ha compiuto 25 anni e sa di essere già stata assolta da quel reato. Pina ricorre in appello ma finisce lo stesso in carcere. Ci resta due mesi. Il 21 gennaio scorso la Corte d’appello riconosce l’errore. Assolve Pina che torna in libertà.