Teramani, i più vecchi d’Europa: "Ecco perché le aziende calano"

Secondo uno studio dell’università con una popolazione così anziana crolla lo spirito imprenditoriale. Antolini: "Bisogna attirare i giovani che fanno risalire i consumi e hanno iniziativa: l’ateneo è basilare"

TERAMO. Teramo è la provincia che veste la maglia nera per numero di imprese chiuse, e questa purtroppo non è una novità. Ma è nuova la stretta correlazione con un altro dato: è una provincia di vecchi. Addirittura i teramani sono i più vecchi d’Europa: basta guardare le statistiche Istat secondo cui la Germania è la nazione con la popolazione più anziana d’Europa con un indice di vecchiaia che sfiora il 160% . Teramo supera questa percentuale con un 168,6%. Una correlazione, quella della mortalità delle imprese con l’anzianità della popolazione, che non è affatto azzardata secondo Fabrizio Antolini, docente di statistica economica dell’università di Teramo, secondo il quale questo legame ha numerosi riscontri nella letteratura e aiuta anche a comprendere le proiezioni future in termini di andamento economico di un territorio.

In base ai dati i consegnati dal docente di Scienze Politiche dell’ateneo, se volessimo fare una fotografia della popolazione teramana, noteremmo che su una popolazione di 311.368 abitanti, le persone comprese nella classe 40-45 anni sono 29.221, quelle nella classe 45-50 anni sono 30.991 e quelle classe 50-55 anni sono 27.913, in sostanza il 28 ,3% della popolazione è nell’area considerata statisticamente vetusta. Dati che non considerano anche le percentuali significative dei “grandi vecchi”, ovvero21.668 ultraottantenni che rappresentano quasi il 7% della popolazione teramana che conta in provincia anche 97ultracentenari di cui 20 nel capoluogo teramano.

E anche il capoluogo non brilla per “stagionatura” della popolazione visto che su circa 54 mila abitanti, si contano circa 5mila 300 unità tra i 40 e i 45 anni e 5.400 teramani tra i 45 e i 50 anni. «Una struttura per età non particolarmente giovane», spiega Antolini «fornisce un’importante chiave di lettura dei dati sulla cessazione delle imprese che a Teramo è superiore rispetto agli altri capoluoghi abruzzesi, seguita a ruota dall’Aquila. Due capoluoghi delle aree più interne che evidenziano una linea di demarcazione netta in termini di vivacità economica rispetto all’area chietina e pescarese. Una struttura così anziana non incoraggia lo spirito di iniziativa imprenditoriale, la cultura d’impresa. Lo slancio verso nuove iniziative economiche è certamente più forte in età giovane e tende ad affievolirsi con gli anni. E’ per questo che a fronte di un invecchiamento crescente della popolazione e di fronte a un tasso di natalità bassissimo dell’8 su mille è facilmente intuibile che il tasso di iscrizione delle nuove imprese possa precipitare ancora».

Dai dati più recenti di Infocamere, emerge infatti che in provincia di Teramohanno chiuso (in gergo cessate) 2.468 imprese (a fronte di 2048 imprese iscritte) seguita molto dopo da Chieti con 2.181 imprese cessate, Pescara con 1987 e l’Aquila con 1715 imprese cessate. Tra cessazioni e iscrizioni solo Teramo ha un saldo negativo dell’1,4 %, seguita dall’Aquila che ha un saldo negativo dello 0,4% mentre Pescara e Chieti hanno saldi positivi rispettivamente dell’1,5% e dello 0,2%.

«Con una compagine demografica di questo tipo» spiega Antolini, «servirebbe una struttura territoriale in grado di intercettare i giovani, di trattenerli, poiché sono quelli che mantengono alta la vivacità economica e imprenditoriale di un territorio e anche la struttura dei consumi ne beneficerebbe andando a prediligere i consumi privati rispetto alla attuale prevalenza dei consumi pubblici e servizi collettivi a carico degli enti locali già alle prese con le ristrettezze dei bilanci».

«E' per questo conclude Antolini «che in territori che hanno una struttura anagrafica sbilanciata verso gli anziani come nel caso della provincia di Teramo, il ruolo dell’università è fondamentale per formare i giovani a sviluppare le competenze necessarie al mondo del lavoro e a incoraggiare la cultura d’impresa come valore per le giovani generazioni. Solo loro possono rilanciare l'iniziativa imprenditoriale e per questo bisogna trattenerli».

Marianna De Troia

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