Teramo, maggioranza finita: Brucchi pronto a staccare la spina

Il sindaco si è dato 24 ore, già oggi potrebbe dimettersi. Poi avrebbe venti giorni per provare a rimescolare le carte, ma i Cinque Stelle annunciano la mozione di sfiducia

TERAMO. Il consiglio comunale della resa dei conti ieri ha confermato le previsioni: Brucchi non ha più i numeri per governare la città. Le sue dimissioni appaiono quindi scontate, anche se non sono certo obbligatorie. Quel che resta della maggioranza potrebbe anche provare ad andare avanti finché può, sebbene dissidenti e oppositori dicano in coro che non lo tollererebbero. Il primo cittadino avrebbe già pronta la lettera di dimissioni, ma ieri si è dato 24 ore di tempo per pensarci. In queste lunghe ore si consulterà con gli esponenti della sua coalizione e valuterà pro e contro. Dimettersi significherebbe gettare un sasso nello stagno e provare a rimescolare le carte nei venti giorni che la legge concede a un sindaco dimissionario per confermare il proprio abbandono, ma significherebbe anche avere un termine temporale stretto entro cui risolvere i problemi. Termine passato il quale non ci sarebbe più ritorno.

IL DISCORSO. «La mia dignità non ha prezzo». Maurizio Brucchi, nel consiglio comunale della resa dei conti nel centrodestra, non entra nel merito dell'ennesima crisi politica che rischia di porre fine in anticipo alla sua amministrazione. Il riferimento all'atteggiamento critico dei consiglieri Falasca, Caccioni e Sbraccia che potrebbero definitivamente affossare la maggioranza, lasciandola senza numeri per governare, è indiretto. «La città ha bisogno di una guida politica», sottolinea, «che esprima condivisione e senso di responsabilità da parte di tutti quelli che ritengono di essere attori importanti e fondamentali per il futuro di questo territorio». Il commissariamento che seguirebbe all'uscita di scena dell'amministrazione non porterebbe nulla di buono. Per questo Brucchi torna a rivolgersi a «chi ritiene di essere legato alla città anche se siede dall'altra parte della barricata». Le sue parole però sono anche indirizzate a chi mina dall'esterno la stabilità della sua coalizione. Si rivolge a chi appartiene ad «altre realtà, altre istituzioni e pensa che tutto abbia un prezzo». Il destinatario, sebbene il sindaco non lo espliciti, è il consigliere regionale del Pd Sandro Mariani che agirebbe dietro le quinte del recente dissenso affiorato in maggioranza. E' il motivo per il quale Brucchi fa risuonare in aula la frase con cui chiude le brevi considerazioni politiche: «La mia dignità non ha prezzo». Per lui si apre una nuova fase di riflessione: dimettersi e congelare la giunta riallargata a nove assessori, come vorrebbero i dissidenti diventati decisivi per le sorti dell'amministrazione, o navigare a vista confidando nel loro sostegno su alcuni provvedimenti fondamentali come avvenuto nel consiglio di ieri.

L’OPPOSIZIONE. Di sicuro il richiamo alla responsabilità non scalfisce l'opposizione. Il capogruppo del Pd Gianguido D'Alberto sottolinea che l'unico irresponsabile è il sindaco. «Tiene in ostaggio il consiglio e la città, la sua esperienza è conclusa», attacca, «l'operazione della giunta a nove è fallita, ma non ne prende atto». I dissidenti, oltre alla minoranza e agli ex alleati di centrodestra di "Al centro per Teramo" e Fdi-An, non hanno votato neppure la surroga dei consiglieri Provvisiero, Antonini e Di Sabatino Martina appena nominati assessori. La ratifica dell'ingresso in aula di Alessandro Di Berardino, Emidio Di Matteo e Francesca Di Egidio è stata avallata così da 15 consiglieri, due in meno di quelli necessari per garantire stabilità all'amministrazione. «La maggioranza è in frantumi», insiste D'Alberto, «il sindaco si è presentato con lo stesso schema già bocciato nella precedente seduta e ha ricevuto lo stesso schiaffo». Brucchi, insomma, deve gettare la spugna. «L'amministrazione non ha più i numeri», fa notare il grillino Fabio Berardini, «ormai si parla solo di poltrone e rimpasti». Se il sindaco non si dimetterà a breve, sarà il Movimento 5 stelle a promuovere una mozione di sfiducia nei suoi confronti che, secondo Berardini, sarebbe appoggiata dal resto dell’opposizione. Anche per Paola Cardelli la maggioranza non ha fatto altro finora che perdersi in giochi di potere da interrompere con il ritorno anticipato alle urne. Il capogruppo di "Futuro in" Giambattista Quintiliani, però, invita l'opposizione e in particolare il Pd «a guardare ai propri problemi e non a quelli degli altri». I dissidenti comunque non arretrano. Vincenzo Falasca sottolinea l'ovvietà della scelta di lasciare la lista civica che fa capo a Paolo Gatti in assenza di condivisione e partecipazione ai processi decisionali. Le stesse carenze sono evidenziate da Raimondo Micheli (Fdi-An) che ha lasciato la maggioranza un anno e mezzo fa. «Bisogna chiudersi in una stanza», dice, «e risolvere subito i problemi».

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