Tortoreto, mistero di Giulia: la famiglia chiede di fare nuove indagini

I genitori della 19enne morta sull'A14 si oppongono alla richiesta d’archiviazione della Procura. Nell’udienza del 22 giugno chiederanno che venga ricostruita la scena del fatto con un manichino

TORTORETO. In ogni tragedia c’è un prima e c’è un dopo a scandire il tempo. In quella di Giulia il prima è fatto di sogni, il dopo di indagini, intercettazioni, testimonianze. Perchè cinque faldoni racchiudono la richiesta di archiviazione per il caso di Giulia Di Sabatino, la ragazza tortoretana di 19 anni precipitata da un viadotto dell’autostrada A14 nel giorno del suo compleanno e dilaniata dalle auto. Ma la famiglia non ha mai creduto al suicidio e chiede che si facciano nuove indagini. Ed è lungo l’elenco di richieste che l’ avvocato Antonio Di Gaspare il 22 giugno illustrerà al gip Domenico Canosa nell’udienza di opposizione alla richiestafatta dai pm Davide Rosati e Enrica Medori. Una su tutte: un esperimento giudiziale. Ovvero, al di là del tecnicismo giuridico, la ricostruzione del fatto con la simulazione di quella caduta dal viadotto per ricostruire tempi e modalità. «Perchè», dice l’avvocato, «ci sono stati rilievi della polizia, ma nessun accertamento specifico. Noi non critichiamo le indagini. Anzi, le nostre richieste vanno nella direzione di valorizzare tutti gli sforzi che durante le indagini sono stati fatti per fare chiarezza su tutta la vicenda. Ma crediamo che non si possa chiudere così e che ci siano dei punti importanti da chiarire». Per questo il legale chiede anche che vengano sentiti nuovi testimoni: «Tutti gli elementi raccolti ancora non sono in grado di rispondere al quesito più grande: Giulia chi doveva incontrare a quell’ora di notte su quel cavalcavia?».

E non si rassegna mamma Meri Koci che in questi 18 mesi ha messo insieme ipotesi e certezze: ha scandagliato il profilo Facebook di amici e conoscenti della figlia, ha incontrato e parlato con tutti, ha ricostruito spostamenti e testimonianze riempiendo vuoti con la logica. «Mia figlia amava la vita, sognava di andare a Londra dalla sorella», dice, «perchè avrebbe dovuto suicidarsi? A Giulia è stata tolta la vita e per questo io chiedo sia fatta giustizia».

I pm Rosati e Medori hanno firmato la richiesta d’archiviazione per i tre indagati per istigazione al suicidio. Si tratta del 25enne finito nelle cronache come l’uomo della Panda rossa, l’ultimo ad aver visto la ragazza viva e ad aver avuto un rapporto sessuale con lei quella notte; dell’uomo con lo scooter che quella sera le diede un passaggio per un tratto di strada e del ragazzo nel cui telefonino sono state trovate immagini osè della 19enne (quest’ultimo resta indagato per pedopornografia nell’inchiesta aperta dalla distrettuale antimafia dell’Aquila competente per il tipo di reato). Per gli inquirenti, dunque, non c’è stata nessuna istigazione al suicidio. A puntellare la richiesta della Procura sembrano siano stati soprattutto i riscontri arrivati dai tabulati telefonici e dalle celle telefoniche fatti dai consulenti che confermano la versione del ragazzo della Panda rossa, un 25enne di Mosciano, sul prima e sul dopo di quella sera. Ma il telefono e il computer di Giulia hanno svelato altro. In particolare dall’esame dell’apparecchio, e dalle chiamate in uscita, i tecnici hanno accertato la presenza di foto osè di giovanissime tra cui anche Giulia, immagini di quando al ragazza era ancora minorenne. La Procura teramana all’epoca della scoperta ha inviato gli atti alla Procura distrettuale dell’Aquila e l’inchiesta del pm David Mancini è ancora in corso.

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